Ha vinto la teoria del filo rosso che secondo alcuni legherebbe tutti (o quasi) i fatti di sangue accaduti in Italia dall’inizio della strategia della tensione, cioè dalla strage di piazza Fontana fino alle bombe del 1993. Fascicoli polverosi che comunicano con altri fascicoli, altrettanto datati, attraverso nomi, ombre e circostanze – più o meno accertate – riconducibili a uno stesso disegno.
Per la sinistra, che per anni ha promosso commissioni d’inchiesta (mai approdate alla verità), dietro quei fatti c’è la destra stragista insieme agli apparati deviati. Per la destra, invece, dietro molti fattacci – oltre quelli notoriamente attribuiti al brigatismo – c’è l’eversione rossa e i suoi legami internazionali, dal Medio Oriente alla Francia. E in questo minestrone di misteri – che nelle conclusioni della commissione Mitrokhin trovò il suo habitat naturale – è finito anche il Dc9 dell’Itavia precipitato a Ustica il 27 giugno 1980, abbattuto, dicono inchieste, perizie, tracciati radar e l’allora premier Francesco Cossiga, da un missile francese.
Uno scenario che non è mai piaciuto all’Aeronautica, che quella sera, narrano le inchieste, guardava il cielo, ma in silenzio. Dunque meglio la pista palestinese, che sfiora il caso Moro e che vede una bomba, che nessuno rivendica, esplodere su un aereo che decolla con due ore di ritardo. Un attentato che sarebbe legato a quello del successivo 2 agosto a Bologna. E non fa niente se una sentenza definitiva accolla quest’ultima bomba al terrorismo nero e ai Servizi deviati.