Depistaggi sul caso Consip. Scafarto e Sessa a rischio processo. Chiesto il rinvio a giudizio per i due ufficiali dell’Arma. Per i pm di Roma le prove a loro carico sono granitiche

Accusati uno di rivelazione del segreto, falso e depistaggio e l’altro solo di depistaggio, i due ufficiali dell’Arma coinvolti nel cosiddetto caso Consip tornano a rischiare un processo. Nell’ottobre dello scorso anno il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Clementina Forleo, aveva prosciolto l’ex maggiore del Noe, Giampaolo Scafarto (nella foto), e il colonnello Alessandro Sessa. Il pm Mario Palazzi, applicato per tale caso alla Procura generale di Roma, è tornato ieri a chiederne il rinvio a giudizio. Nel corso della sua requisitoria, il pubblico ministero ha sostenuto che a carico dei due ufficiali le “prove acquisite sono granitiche” e ha ribadito “l’esigenza e la necessità di un processo nei confronti dei due imputati, per i quali è assolutamente necessario il vaglio dibattimentale”.

Scafarto è accusato di aver svelato al vicedirettore del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, il contenuto delle dichiarazioni di Luigi Marroni, ex amministratore delegato della centrale acquisti della pubblica amministrazione, e Luigi Ferrara, ex presidente della società che ha come unico azionista il Ministero dell’economia e finanze, agli inquirenti di Napoli e che fosse inscritto sul registro degli indagati l’ex comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette. L’ex maggiore è poi accusato anche di falso relativamente all’informativa in cui attribuiva all’imprenditore campano Alfredo Romeo la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”, mentre in realtà a pronunciare quella frase, senza riferirsi a babbo Renzi, era stato l’ex parlamentare Italo Bocchino.

L’ufficiale, insieme al collega Sessa, è inoltre accusato di depistaggio per aver disinstallato WhatsApp dallo smartphone del colonnello al fine di impedire agli investigatori di ricostruire le loro conversazioni. Per il caso Consip intanto sono già a giudizio Luca Lotti, ex ministro e attuale deputato del Partito democratico, all’epoca particolarmente vicino a Matteo Renzi, l’ex consigliere economico di Palazzo Chigi, Filippo Vannoni, l’ex comandante generale dei Carabinieri, Tullio Del Sette, il generale Emanuele Saltalamacchia e Carlo Russo, l’imprenditore amico di Tiziano Renzi, il padre dell’ex premier. L’inchiesta Consip è stata avviata a Napoli nell’estate 2016 e poi è stata trasferita a Roma, indagando sulle attività dell’imprenditore Romeo e sui presunti legami con clan della camorra di alcuni dipendenti della società che gestisce il servizio di pulizia all’ospedale Cardarelli. Il 13 ottobre dovrebbe riprendere il processo davanti all’ottava sezione penale del Tribunale di Roma.

L’ALTRO FRONTE. Sessa intanto è stato messo ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta dell’Antimafia di Roma denominata “Dirty Glass”, relativa a un sistema fatto di reati fiscali, tributari, fallimentari, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, intestazioni fittizie di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accessi abusivi a sistemi informatici, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale, turbativa d’asta, sequestro di persona e detenzione e porto di armi da fuoco. Una catena di illeciti compiuti principalmente tra Latina e Roma negli ultimi due anni e che sarebbe stata forgiata dall’imprenditore pontino, messo in carcere, Luciano Iannotta. Il colonnello è accusato di aver rivelato proprio a Iannottanotizie e informazioni “attinenti al proprio ufficio, mettendosi a disposizione”. Tutto in cambio di un telefonino e di una Smart.