Sulla sicurezza sul posto di lavoro “bisogna fare molto di più”, dice Angelo Delogu, professore di Diritto dei sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Anche se i dati della partecipazione agli scioperi sembrerebbero indicare che ormai esista una sorta di assuefazione alle disgrazie, quasi un’accettazione. Anche tra i lavoratori… Per esempio, Enel ha comunicato che l’adesione del personale del gruppo allo sciopero generale indetto da Filctem-Cgil e Uiltec-Uil dopo l’incidente alla centrale di Bargi si è attestata giovedì all’8,7%, mentre la partecipazione del personale Enel alla mobilitazione di mercoledì indetta dalla Flaei-Cisl è stata del 3%.
Angelo Delogu, crede che negli anni ci possa essere stata una sorta di assuefazione alla tragedia delle morti bianche?
“Non ho elementi per valutare la correttezza dei dati. Tuttavia, l’eventuale ridotta adesione allo sciopero non credo coincida con la scarsa sensibilità dei lavoratori rispetto al dramma delle morti sul lavoro, che è, per ovvie ragioni, alta. Potrebbe attribuirsi piuttosto a fenomeni che attengono alla crisi del sindacato e alla scarsa sindacalizzazione dei lavoratori, connessa anche ad un elevato grado di precarietà dei rapporti di lavoro”.
Quali le cause di questa strage infinita sui luoghi di lavoro?
“Le cause sono molteplici e difficili da riassumere. Nei casi specifici mi auguro che saranno le indagini a chiarirle. In termini generali, gli infortuni sul lavoro sono spesso causati dallo scarso rispetto della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dovuta a volte alla mancata adozione finanche dei più elementari presidi di prevenzione. Cui si aggiungono due ulteriori dati: l’eccessiva frammentazione dei cicli produttivi, con catene di appalto sempre più complesse e difficili da governare, la diffusione di rapporti di lavoro sempre più instabili”.
A suo parere il governo sta mettendo in campo strumenti validi per provare a fermare questa mattanza?
“Ritengo che si potrebbe e si dovrebbe fare molto di più. La questione non riguarda solo il Governo, ma tutti gli attori coinvolti. Ci sono parti importanti del Testo Unico in materia di sicurezza ancora inattuate a distanza di sedici anni dall’approvazione. C’è un modo del lavoro che sta cambiando rapidamente, sotto l’influsso della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, che richiede risposte adeguate e innovative. Per quanto riguarda l’estensione della cosiddetta patente a punti, un provvedimento che presenta talune criticità, va salutata positivamente, ma occorrerebbe il ritorno al progetto originario del 2008, che prevedeva un sistema di qualificazione generale di tutte le imprese appaltatrici”.
Condivide la richiesta di introdurre il reato di omicidio sul lavoro su cui il ministro della Giustizia è contrario?
“Non credo che il tema sia solo quello dell’inasprimento delle sanzioni, che per definizione giungono quando gli infortuni si sono già verificati. Il tema è rafforzare enormemente gli strumenti di prevenzione: investire sull’organizzazione aziendale della sicurezza, su modelli organizzativi e sistemi gestionali adeguati, sulle competenze, sulla formazione, sull’attenta valutazione dei rischi, sulle buone pratiche. Su questo terreno c’è molto da fare ed è da qui che bisogna partire”.
I sindacati spingono per una struttura che, in caso di incidenti sul lavoro, abbia poteri di intervento su tutto il territorio, ovvero una Procura nazionale.
“Può essere un’idea, ma non credo sia quella principale, perché è sempre una risposta agli infortuni già avvenuti e invece bisogna impedire che si verifichino. Per cui semmai occorre irrigidire i sistemi di vigilanza, interna ed esterna all’azienda, intervenire con strumenti promozionali, convincere le imprese, e tutti gli attori interessati, che la sicurezza non è un costo ma un investimento. Il costo sociale e aziendale della mancata sicurezza è enormemente più elevato rispetto a quello dell’adozione di misure preventive e protettive adeguate”.