Luca Palamara fuori dall’Associazione nazionale magistrati. L’assemblea dell’Anm ha respinto, ieri, il ricorso presentato dall’ex presidente contro la scelta dei colleghi di espellerlo dall’associazione. Una decisione presa dall’assemblea e che conferma la decisione del Comitato direttivo centrale assunta lo scorso giugno. A nulla è valsa la difesa dello stesso Palamara che in tarda mattinata aveva espresso le sue ragioni. “Non ho mai venduto la mia funzione, né a Lotti, né a Centofanti, né a nessuno. Sono stato travolto e nella fiumana mi sono perso, ma non mi sento di essere stato moralmente indegno”. Nel difendere il suo operato, soprattutto sul versante dei legami con la politica, Palamara ha voluto sottolineare che “il confronto con la politica sulle nomine è sempre esistito”. Poi l’appello ai colleghi, al quale ha chiesto un “giudizio sereno. Non mi sono mai sottratto ai processi, sono qui per metterci la faccia”. Appello caduto nel vuoto, considerato che l’espulsione è stata ratificata.
Che il clima in assemblea non fosse favorevole per Palamara, era facilmente intuibile dalle parole del presidente dell’Anm Luca Poniz. Nella sua relazione presentata all’assemblea, Poniz aveva dato un giudizio estremamente severo della vicenda che ha riguardato il suo predecessore. “I fatti disvelati dall’indagine di Perugia hanno provocato conseguenze drammatiche per il sistema, ed innescato una crisi profonda, i cui effetti non sono del tutto prevedibili, oltre alla già percepibile, gravissima perdita di credibilità del nostro ruolo, con ciò che esso significa nel rapporto tra giustizia e cittadini”. Per Poniz è “indiscutibile l’esigenza di riforme, e certo non solo ordinamentali” ma “guai – ha ammonito – a trasformare l’analisi, la critica anche la più radicale, in pretesto per trasformare l’urgenza riformatrice in un’occasione per demolire lo statuto costituzionale della Magistratura, le sue prerogative, gli organi di garanzia posti a presidio, tutti concepiti nella Costituzione nell’interesse dei diritti dei cittadini. Ecco perché ogni passaggio di ogni disegno riformatore dovrà essere analizzato con particolare attenzione e profondità”.
“La crisi che stiamo attraversando – ha poi ragionato – è anche una crisi di funzionamento, e la fiducia che i cittadini nutrono nei nostri confronti è drammaticamente precipitata; la fiducia è un elemento essenziale di legittimazione della funzione giurisdizionale”. Abbiamo attraversato e stiamo tutt’ora attraversando – ha infine osservato parlando dell’Anm – un momento drammatico: l’Associazione ha avuto ed ha tutt’ora un’autorevolezza ed una credibilità che le derivano dalla sua storia, che è compito di ognuno di noi preservare”.
A illustrare le ragioni dell’espulsioni il componente della giunta esecutiva centrale dell’Anm Stefano Giovagnoni, che ha riportato quale episodio determinante “l’incontro avvenuto a Roma, la sera del 9 maggio 2019, in luogo non istituzionale, tra il dott. Luca Palamara, alcuni magistrati componenti del Csm (Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Antonio Lepre), e due parlamentari (On. Luca Lotti e On. Cosimo Ferri) di cui uno già imputato in un procedimento penale intentato dalla Procura di Roma, nell’ambito di una nota vicenda di risonanza nazionale. Si contesta al dott. Palamara di aver discusso in quella riunione notturna con i suoi interlocutori della strategia da adottare, concertando le iniziative allo scopo necessarie, ai fini della nomina di specifici candidati, con riguardo a taluni uffici giudiziari direttivi, tra cui quello della Procura di Roma. E di averlo fatto adottando un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi che avevano presentato domanda per il conferimento di quell’ufficio direttivo”.
Secondo Giovagnoni “un fatto storico vero, oggettivo, inconfutabile, indiscutibile, provato. E allora per quale motivo l’Anm avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento disciplinare innanzi al Csm? Per quale motivo l’Anm avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento penale di Perugia che, peraltro, riguarda fatti che non hanno alcuna attinenza con l’incontro della notte del 9 maggio 2019?”. “La decisione dell’Anm di applicare la sanzione di massimo rigore è stata senz’altro frutto di una valutazione sofferta che ha interrogato profondamente le nostre coscienze – ha poi aggiunto il magistrato – dobbiamo però essere convinti che la decisione sia stata adottata con scrupolo e senza ricercare a ‘capri espiatori'”.
“Anm – ha ribadito – non ha cercato un capro espiatorio; ha fatto, in primo luogo, un mea culpa e ha chiesto scusa in tutte le sedi istituzionali ai cittadini, ai colleghi, alla intera comunità, al Presidente la Repubblica e alla Carta Costituzionale, riconoscendo una propria responsabilità morale perché, forse, certe dinamiche erano conosciute e sono state taciute, ma mi sia consentito di dire che non pensavamo che si fosse arrivati al punto di concertare strategie di danneggiamento nei confronti di colleghi per le nomine agli uffici giudiziari e di tramare alle loro spalle per il perseguimento di finalità personali”.
“Si tratta – ha concluso Giovagnoni – di fatti di eccezionale gravità perché hanno gettato una gravissima ombra sul prestigio e sulla credibilità dell’intera categoria, al punto che diversi colleghi hanno pubblicamente confessato di aver provato imbarazzo davanti ai loro parenti, ai loro genitori, ai loro mariti, alle loro mogli e soprattutto di essersi vergognati di dire ai loro figli di essere magistrati”.