Che la norma che vuole punire i rave party sia stata scritta male lo dimostra non tanto la protesta che si è levata dalle opposizioni ma il caos che ha generato all’interno del Governo. I primi dubbi sulla discrezionalità che lascia la norma e sulla severità della pena – previsti da tre a sei anni di reclusione e multe da 1000 a 10mila euro per chi promuove e organizza rave (ma pene anche se più basse sono contemplate per chi vi partecipa) – sono stati avanzati da Forza Italia.
Le nuove misure volute da FdI e Lega per fermare i Rave party non hanno spento i fari sugli impegni economici disattesi
In ballo c’è anche la questione delle intercettazioni preventive: non citate espressamente ma possibili perché la pena prevista è superiore ai cinque anni. Ad aprire le danze ieri è stato il viceministro alla Giustizia di Forza Italia, Francesco Paolo Sisto. Secondo cui la misura in sede di conversione del decreto è modificabile. “Nessuno decide se non il Parlamento. Bisogna evitare – ha detto – a tutti i costi che questa norma possa essere applicata alla legittima manifestazione di dissenso, dalla manifestazione sindacale a quella scolastica. Su questo dovremmo essere attenti e fare in modo che questo epilogo non ci sia. Quindi credo che serva un livello di attenzione tecnico-normativo per evitare l’equivoco che è sempre in agguato”.
Conferma il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, suo collega di partito: “La norma va corretta”. Nel mirino la pena spropositata e la possibilità delle intercettazioni. A difenderla con i denti e le unghie ci sono invece Lega e FdI. Anzi Federico Mollicone di Fratelli d’Italia fornisce un’interpretazione della norma a maglie larghe, spiegando che questa “può essere applicata giustamente ai palazzi occupati pubblici o privati”.
Insomma un gran caos che ha richiesto l’intervento di Giorgia Meloni. “È una norma che rivendico e di cui vado fiera perché l’Italia non sarà più maglia nera in tema di sicurezza”, ha detto la premier garantendo che non verrà negato “a nessuno di esprimere il dissenso”.
“Presidente Meloni, non servono le sue rassicurazioni via social sul fatto che il suo governo non toccherà il diritto dei cittadini a riunirsi e manifestare dissenso. C’è già la Costituzione a fornire questa garanzia, non è una concessione del premier di turno”, replica il leader del M5S, Giuseppe Conte che chiede di fermare subito il testo.
Peraltro, spiega Conte, esistono già norme che contrastano i raduni illegali: lo prova l’intervento nel caso del rave party di Modena dei giorni scorsi. Interviene anche il ministro della Giustizia che difende la norma che a suo dire “non incide, né potrebbe incidere minimamente sui sacrosanti diritti della libera espressione del pensiero e della libera riunione” ma Carlo Nordio riconosce che spetta al Parlamento “la funzione di approvarla o modificarla secondo le sue intenzioni sovrane”.
Rimane da chiedersi perché tra i primi atti il Governo Meloni abbia voluto battere un colpo sulla strategia securitaria. Due le spiegazioni. La prima è da rintracciarsi nelle difficoltà in cui naviga l’esecutivo sul fronte economico. Le risorse scarseggiano e il Paese attende una risposta alla crisi che attanaglia famiglie e imprese, a partire dal caro-energia. Non solo. C’è anche la Manovra da varare e la lista tra spese indifferibili e promesse elettorali da soddisfare è lunga.
Distrarre l’opinione pubblica con la strategia legalitaria può apparire nell’immediato un buon escamotage. La seconda spiegazione forse è ancora più grave. Se Meloni andasse fino in fondo nel suo progetto di smantellamento del Welfare, a partire dalla sforbiciata al Reddito di cittadinanza, rischiamo di doverci preparare a un autunno caldo con proteste in piazza. L’avvertimento che in questo caso l’esecutivo, con la norma sui raduni che possono mettere a repentaglio l’ordine pubblico, vuole lanciare è chiaro: tolleranza zero. E allora sì che c’è da aver paura.