La strada è tracciata. Lo era a Montecitorio, lo sarà a Palazzo Madama. Contrariamente a quello che in tanti potevano pensare – e cioè che alla fine i pentastellati si sarebbero “piegati” alla politica di Mario Draghi, lasciando per l’ennesima volta correre – questa volta è andata il Movimento ha tenuto il punto sul decreto Aiuti dimostrando, come poi ha detto anche Giuseppe Conte in serata, “coerenza e linearità”.
Decreto aiuto, il M5S ha tenuto il punto. Conte: “C’è una questione di merito per noi importante”
“Era una decisione già chiara perché c’è una questione di merito per noi importante”, ha detto il presidente M5S ai cronisti commentando la decisione del gruppo parlamentare di non partecipare al voto sul decreto aiuti. Nessun paradosso, dunque, considerando che pochi giorni prima invece i Cinque stelle avevano votato la fiducia: “Un conto è la fiducia accordata per ora al governo, un conto è il voto sul provvedimento”.
Un provvedimento lontano dalle richieste avanzate giorni fa da Conte a Draghi, considerando che nulla c’è sul superbonus e invece, di contro, tanto – troppo – c’è sull’inceneritore. E anche chi immaginava che il gruppo potesse spaccarsi, è rimasto deluso: tutto il gruppo è uscito dall’Aula non partecipando al voto, fatta eccezione per Nicola Berti che è rimasto e che a giorni, senza alcuna sorpresa si mormora nel Transatlantico, passerà con Luigi Di Maio.
E se compattezza c’è stata a Montecitorio, ancora maggiore coesione ci sarà a Palazzo Madama. “Qui siamo col coltello tra i denti”, spiega un senatore pentastellato. Le linea è chiara e netta: “Se non ci saranno aperture da parte di Draghi sui temi avanzati da Conte (e dunque tra le altre cose innanzitutto Reddito, superbonus, transizione ecologica, cashback e salario minimo), usciremo dall’Aula anche al Senato”.
E non è un dettaglio considerando che, a differenza di Montecitorio dove il voto di fiducia e quello sul provvedimento sono disgiunti, al Senato il voto è unico. E dunque non partecipare significa inviare un segnale esplicito anche all’azione dell’esecutivo, non più in linea con i desiderata del Movimento cinque stelle. A questo punto bisogna capire cosa dicono le previsioni. Innanzitutto è molto improbabile che a Palazzo Madama il gruppo pentastellato possa dividersi essendo profondamente unito soprattutto dopo le defezioni “dimaiane”.
E c’è da considerare un altro aspetto, non così secondario: al momento è molto improbabile, dovendo Draghi far fronte anche al pressing che arriva soprattutto da Lega e Forza Italia sugli altri temi al vaglio (ius scholae su tutti), che arrivino aperture che d’altronde neanche per il voto a Montecitorio di fatto sono arrivate.
Cosa potrebbe accadere allora se si dovesse arrivare alla rottura?
Cosa potrebbe accadere allora se si dovesse arrivare alla rottura? Ad oggi, assicurano fonti interne, non è più così remota l’idea di uscire dal governo. Né sembrerebbe dispiacere poi più di tanto. “Oramai siamo in tanti a pensare che sia meglio uscire dal governo”, mormora il solito senatore. Se si dovesse fare una stima? “Tra tutti gli eletti siamo nell’ordine del 70-80% disposti a passare all’opposizione se Draghi dovesse continuare su questa linea”.
Insomma, pur sapendo tutti che in questa fase gli equilibri possono cambiare da un giorno all’altro, non è impossibile che alla fine di questa settimana M5S siederà nei banchi dell’opposizione. Come accade in ogni effetto domino che si rispetti, a quel punto bisognerà capire quali potrebbero essere gli effetti sul Movimento tou-court. Non c’è ombra di dubbio che la stragrande maggioranza degli attivisti vede di buon occhio una potenziale uscita dal governo. Certo, qualche altra defezione di parlamentari potrebbe esserci.
“Sì – spiegano diversi parlamentari – ma ormai chi doveva seguire Di Maio già l’ha fatto. Potranno aggiungersene 5-6, non di più”. Col risvolto, questo positivo, che a riaffacciarsi nel Movimento potrebbe essere Alessandro Di Battista. Un nome che, unito a quello di Conte, potrebbe aiutare a recuperare importanti percentuali di preferenze. Cosa che, viste le politiche del 2023, non è poi così secondaria.