Benvenuti nel Paese in cui i lavoratori producono di più ma guadagnano di meno. Non è solo un paradosso economico, è uno schiaffo morale alla dignità del lavoro. I numeri della ricerca Uiltucs sono una radiografia impietosa del nostro sistema: mentre i salari reali in Italia precipitavano dell’8% dal 2010, in Germania volavano su del 14%. Il settore del commercio è il settore più emblematico: una produttività aumentata del 16% si è trasformata in un taglio del 15% delle buste paga. In parole povere, i lavoratori hanno regalato alle aziende maggiore efficienza ricevendo in cambio povertà. Una redistribuzione alla rovescia, un Robin Hood che ruba ai poveri per dare ai ricchi.
Confrontarsi con l’Europa fa ancora più male. Il nostro salario medio di 31.530 euro ci relega al penultimo posto tra i nove Paesi analizzati, con la magra consolazione di superare la Spagna di appena mille euro. La Danimarca, prima in classifica, ci stacca di oltre 20mila euro. È il racconto di due Europe che viaggiano a velocità diverse, dove il lavoro ha valori e dignità differenti.
La verità è che stiamo assistendo a un furto silenzioso. Mentre i lavoratori corrono più veloce sulla ruota del criceto della produttività, il loro potere d’acquisto viene eroso giorno dopo giorno. È un sistema che ha smesso di redistribuire ricchezza, trasformandosi in una macchina che accumula disuguaglianze. La Germania ha trovato una risposta nel salario minimo legale del 2015. Noi continuiamo a dibattere, mentre i nostri lavoratori scivolano lentamente verso la povertà. O si sta dalla parte di chi il lavoro lo fa o di chi sul lavoro altrui continua ad arricchirsi senza redistribuire nulla.