“Il mio percorso nel M5S finisce qui”. Inizia con queste parole il post su Facebook con cui il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, annuncia la sua fuoriuscita dal gruppo consiliare di maggioranza. “Dopo 9 lunghi anni, intensi, importanti, decido di uscirne” prosegue l’ormai ex grillino, perché “non avverto più alcun senso di appartenenza” e quindi “non riesco più a dire alle persone: Noi del Movimento 5 Stelle…”.
Nel lungo intervento pubblicato sui social, De Vito passa in rassegna quelle che definisce le “capriole ideologiche” compiute dei 5S a partire dal “mai col Pd di fine luglio 2019, smentito il mese successivo con la nascita del governo giallorosso” e fino “alla mancata sostituzione del capo politico dimessosi a gennaio 2019” che ha lasciato spazio a un “reggente aeterno, Vito Crimi, che non ha voluto capire che il suo doveva essere un ruolo con una funzione limitata nel tempo”.
“Ho preso il mio tempo e riflettuto – ha scritto ancora De Vito nel post pubblicato ieri sulla sua pagina Facebook -. E’ una somma di cose che concorrono l’una sull’altra a far sì che per me sia davvero abbastanza. Come ho detto, non avverto più senso di appartenenza. Sono contento per tutti gli amici attivisti che ancora riescono ad avvertirlo”.
De Vito ha confermato oggi la sua scelta in apertura della seduta dell’Assemblea capitolina. “Annuncio il mio passaggio al gruppo Misto” ha detto l’ex esponente del Movimento cinque stelle con cui si candidò sindaco di Roma nel 2013 e poi consigliere nel 2016 risultando il più votato con oltre 6mila preferenze.
Un addio quello di De Vito rumoroso che crea non pochi problemi alla sindaca Virginia Raggi. Sono, al momento, ben sette quelli che hanno salutato il M5s e sono passati ad altri gruppi in appena cinque anni d’amministrazione della prima cittadina grillina. In Aula Giulio Cesare nel 2016 c’erano 28 consiglieri del Movimento 5 Stelle, mentre oggi ne restano appena 23 a cui si aggiunge la sindaca contro i 25 delle opposizioni. Numeri che fanno tremare il Campidoglio perché gli atti che andranno al voto in Assemblea capitolina, da qui alle prossime elezioni amministrative, sono tutti in salita.