Domenico De Masi, tra i sociologi del lavoro più accreditati in Italia e professore emerito alla Sapienza, non ha dubbi: se i tecnici o i politici candidati al Quirinale sono Mario Draghi o Pier Ferdinando Casini poco cambia. “Si tratta di profili fotocopia: tutti neoliberisti. L’unica vera alternativa potrebbe essere Andrea Riccardi, il fondatore della comunità Sant’Egidio, vero socialdemocratico”.
Professore come stanno gestendo la partita sul Quirinale i partiti?
“La stanno gestendo nell’unico modo in cui si può gestire. Essendo partiti, e dunque esprimendo una parte di opinioni, ognuno porta un’idea diversa. Dunque ognuno difende la sua idea che si concretizza in un nome diverso da quello proposto dagli altri. Quando si elegge un presidente della Repubblica dovrebbe essere eletto a maggioranza ma siccome in questo caso la maggioranza non c’è abbiamo una situazione di stallo. E dire che pure quando c’era si arrivò a 23 votazioni”.
Ma non solo i leader sono divisi anche all’interno dei partiti ci sono spaccature profonde.
“Questo perché i candidati sono tutti uguali. L’unico che si distingue è Riccardi. Gli altri profili sono tutti uguali, fotocopia l’uno dell’altro. Lo stesso Draghi è fotocopia di Giuliano Amato: sono tutti neoliberisti che si trovavano sul Britannia a discutere di privatizzazioni. Sono fungibili tra loro dunque non c’è un motivo per cui uno possa dire scegliamo questo e non l’altro”.
Si tratta di una crisi di leadership?
“Semplicemente non c’è varietà di pensiero. Tutti i pensieri convergono verso il neoliberismo. Non c’è più da battagliare perché sono tutti uguali. Andando al Colle farebbero tutti la stessa cosa. Con qualche sfumatura diversa ma la sostanza non cambierebbe”.
Si può parlare allora di crisi della democrazia?
Siamo all’iper democrazia. La democrazia fa emergere la realtà e la realtà è che tutti la pensano allo stesso modo. La crisi è nei media: siete voi nel pallone, non sapete che fare e che dire, costretti a ripetere sempre le stesse cose”.
Si parla di Draghi ma anche di Elisabetta Belloni a Palazzo Chigi, altro tecnico. C’è un commissariamento della politica?
“Ma no. Sono tutti uguali. Se i tecnici e i politici sono neoliberisti uno vale l’altro. Si equivalgono. Ma dove stanno i tecnici? Da dieci mesi non hanno fatto niente. Meno sicuramente del Governo precedente. Naturalmente sono trattati meglio dai giornali. Ho parlato con il direttore del Sole 24 Ore in un dibattito. E questi diceva che in Italia sta andando tutto in modo meraviglioso. Ma in che modo? Il deficit è alle stelle, lo spread è aumentato e abbiamo un milione di poveri in più. Dov’è che le cose vanno meglio? L’unica differenza, insisto, sarebbe tra Draghi e gli altri da una parte e Riccardi dall’altra. Tra i neoliberisti da una parte e un socialdemocratico dall’altra. In Italia il problema vero è l’aumento della povertà e uno che si è occupato di poveri per tutta la vita, che ha creato Sant’Egidio, è il candidato ideale. Se vincono candidati alla Draghi aumenteranno i ricchi, se vincesse Riccardi diminuirebbero i poveri”.
Dai giornali esteri, vedi il Financial Times, è arrivato un endorsement netto a Draghi.
“Scrivono tutti per conto di Draghi. È il gioco di una politica mediocre”.
Eppure il Ft come il Wall street journal temono che se Draghi andasse al Colle collasserebbe il Governo.
“Ma no, non collassa. Draghi dal Colle non lo permetterebbe. Se venisse siglato un accordo di Governo e se nell’esecutivo entrassero leader politici o persone di loro fiducia il Governo non cadrebbe. E non è detto che non finirà così. Oggi è tutto un peana a Draghi. Dal Foglio a Repubblica al Corriere: i poteri forti sono tutti con Draghi. E se non fosse Draghi ma Amato o Casini sarebbe uguale. L’unica differenza è tra un neoliberista e uno socialdemocratico, tra uno che ha alle spalle Mediobanca e la Fiat e un altro che ha dietro le forze popolari”.
A proporre Riccardi è stato il M5S.
“Se i pentastellati difenderanno fino in fondo Riccardi sarò con loro se voteranno Draghi o uno come lui faranno la fine di tutti gli altri partiti”.