Un regalo a Francesco Gaetano Caltagirone. E una norma che rischia di rilevarsi controproducente, disincentivando gli investimenti. Il Financial Times smonta la retorica della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sul ddl Capitali: un provvedimento che “sembra positivo”, ma che in realtà nasconde – dopo le modifiche apportate al Senato – un approccio “protezionistico” e persino “scoraggiante per gli investimenti internazionali”.
Il titolo dell’articolo del giornale economico sottolinea chiaramente come il provvedimento potrebbe “ritorcersi contro le imprese italiane”, contrariamente a quanto sostenuto da Meloni, secondo cui il disegno di legge servirebbe anche a rafforzare il piano di privatizzazioni per 20 miliardi promesso dal governo.
Ddl Capitali, un aiuto agli alleati di Meloni
Anzi, la norma invece di liberalizzare e incentivare gli investimenti rischia di servire soltanto “gli interessi degli alleati di Meloni” e scoraggiare “gli investimenti internazionali”. L’allarme era stato lanciato già dal Ceo di Generali, Philippe Donnet, a cui Meloni ha risposto negli scorsi giorni sostenendo che il ddl non rischia “di allontanare gli investimenti e rendere ingovernabili alcuni grandi gruppi”.
Ma, secondo il Financial Times, l’allarme nei grandi gruppi sta salendo e la legge rischia di essere “un secondo passo indietro dei mercati italiani nel giro di pochi mesi”, dopo la promessa tassa sugli extraprofitti delle banche, che è stata annunciata e poi di fatto svanita nel nulla nella sua riformulazione che ha permesso agli istituti di non versare un euro.
Regali agli amici
Per il Financial Times le modifiche al ddl Capitali si sono trasformate in un regalo, il cui beneficiario “più evidente” è Caltagirone. Che, viene ricordato, è azionista di rilievo “di due dei più potenti gruppi di servizi finanziari generali, Generali e Mediobanca”. Non a caso, il giornale ricorda come lui e i suoi alleati, a partire da Leonardo Del Vecchio, “furono ostacolati nei tentativi di imporre nuovi consigli d’amministrazione” in queste due società.
Le critiche riguardano due aspetti della legge. Il primo è quello del rinnovo dei cda: la lista del board deve essere proposta con voto favorevole di due terzi dei consigli, un meccanismo ritenuto dissuasivo dell’uso di liste del consiglio e che, con i primi effetti dal 2025, verrebbe testata proprio con Generali.
Ancora più controversa la norma sul voto maggiorato, tanto che il Financial Times definisce “sorprendente” l’emendamento che l’ha introdotta. Il provvedimento – viene spiegato – “di fatto favorisce alcune tipologie di italiani azionisti: società tipicamente a conduzione familiare che cercano di mantenere il controllo delle proprie aziende, così come fondazioni azioniste delle banche italiane che sono soci a lungo termine”. In pratica, a chi ha quote da più di 10 anni viene garantito 10 volte di più il diritto di voto. Una norma che non favorisce gli investimenti, insomma, e che invece è un regalo ai soliti noti.