Un documento vuoto, ma che fa trasparire tutte le difficoltà dell’economia italiana dopo la cura Meloni. E con rischi ancora maggiori a causa della guerra dei dazi scatenata da Donald Trump, che Giorgia Meloni ha voluto a tutti i costi incontrare per rafforzare il loro rapporto nonostante la guerra commerciale abbia effetti devastanti per l’export italiano. E, in generale, per la crescita e per l’occupazione. Le audizioni nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul Documento di finanza pubblica mettono a nudo tutte le difficoltà del governo su vari fronti. E i tentativi di parare i colpi da parte del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sembrano non avere successo. Andiamo con ordine e partiamo dalla Corte dei Conti. Il primo appunto riguarda il contenuto del Dfp: “Manca non solo lo sviluppo programmatico, ma anche (e soprattutto) un dettaglio informativo determinante su diversi capitoli della politica finanziaria di breve e medio periodo”.
Dai dazi al riarmo, bocciature in sequenza per l’economia italiana
La relazione della Corte dei Conti sottolinea come siano “limitate” le indicazioni sulla spesa per settori, l’assenza di indicazioni sulle modifiche del Pnrr e di quelle relative alla spesa per la difesa. Elementi che “rendono difficile valutare la tenuta del quadro complessivo e la sua coerenza con le priorità dell’azione di governo”. In pratica, un documento vuoto e inutile. Che non tiene neanche conto dell’effetto dei dazi, che viene invece stimato dall’Ufficio parlamentare di bilancio: le simulazioni effettuate portano a dire che la perdita di valore aggiunto “sarebbe di tre decimi di punto percentuale”. E anche in termini di occupazione non va meglio, con un effetto “quantificabile in circa 68mila occupati totali in meno”.
I settori più penalizzati dal punto di vista dell’occupazione sarebbero quelli della fabbricazione di macchinari e apparecchiature, la fabbricazione di prodotti in metallo e le industrie tessili. L’Upb sottolinea anche un altro aspetto, quello relativo alla clausola di salvaguardia concessa dall’Ue per le spese in difesa: il rischio è quello di un ritardo nell’uscita dalla procedura per deficit eccessivo da parte dell’Italia. Il rischio è addirittura di arrivare sotto il livello del 3% solamente dal 2030. Inoltre l’aumento delle spese militari causerebbe un aumento del debito di 0,7 punti percentuali fino al 137,3% nel 2028, se non più alto in caso di maggiore ricorso alla flessibilità consentita.
L’altro problema è che il moltiplicatore di questi interventi è stimato al di sotto di uno, con effetti quindi minimi sulla crescita. Compito dell’Istat è stato invece quello di calcolare l’impatto negativo delle tensioni commerciali, stimato in due decimi di punto nel 2025 e tre decimi nel 2026. Rivedendo quindi al ribasso la crescita stimata nel Dfp allo 0,6% quest’anno e allo 0,8% il prossimo. Anche il Centro studi di Confindustria effettua calcoli simili, spiegando che con dazi al 20% la crescita sarebbe solo dello 0,3% nel 2025 e dello 0,6% nel 2026.
Dalla Banca d’Italia arriva una nota positiva, ovvero l’aumento del Pil nel primo trimestre del 2025. Ma non basta. Anche perché – avverte Bankitalia – un altro nodo critico è quello del Pnrr. Il Dfp prevede spese per 40 miliardi nel 2025 e per 80 miliardi nel 2026. Importi “molto elevati – per via Nazionale – se raffrontati all’utilizzo delle risorse registrato finora”. Infine, una parte di spesa, pari a 12 miliardi, dovrebbe “essere sostenuta oltre il 2026”. Ma intanto “si stanno accumulando ritardi, specie nell’esecuzione delle opere pubbliche, con il rischio che alcuni traguardi e obiettivi non vengano raggiunti entro la scadenza del Piano”.
La difesa di Giorgetti
È toccato poi a Giorgetti tentare di difendere il Dfp. Ma in realtà il ministro dell’Economia non ha risposto alle accuse di associazioni e istituti, ma ha provato a rassicurare sul mancato ricorso alla deroga al Patto di stabilità per le spese militari: “In questo momento il governo italiano non la utilizzerà, noi riteniamo che sia corretto e giusto aspettare il vertice Nato di giugno 2025 per vedere l’orientamento generale”. E solo dopo si deciderà. In ogni caso Giorgetti ritiene che l’Italia raggiungerà il 2% di spese per la difesa già nel 2025 “utilizzando i criteri contabili della Nato”. La conclusione di Giorgetti, alla fine, è che per il momento non si deve parlare di scostamento. Né per le spese militari né per fronteggiare i dazi. Insomma, per dirla come il Movimento 5 Stelle, quella di ieri è stata “una giornata nera per i riarmisti di governo”.