Davigo sembra destinato a restare fuori dal Csm. Il Consiglio di Stato ieri ha rigettato l’appello del magistrato contro la delibera di Palazzo dei Marescialli, che lo ha dichiarato decaduto dal ruolo di consigliere prima della scadenza del mandato essendo intanto andato in pensione. Per i giudici di Palazzo Spada, come già stabilito dai loro colleghi del Tar del Lazio, la competenza in materia non è della giustizia amministrativa, ma ordinaria e occorrerà vedere se Piercamillo Davigo deciderà di aprire un contenzioso civile per portare fino in fondo la sua battaglia.
IL CASO. Davigo era stato eletto al Csm nel 2018, primo nel collegio nazionale comprendente i magistrati con funzioni di legittimità, con conseguente collocamento in posizione di fuori ruolo nell’organico della magistratura. In vista della maturazione, al compimento del settantesimo anno di età, dell’età anagrafica per il collocamento obbligatorio a riposo, Davigo aveva, “con opportuno anticipo”, chiesto “l’apertura di una pratica”, al fine di sollecitare il Consiglio superiore della magistratura a verifica gli effetti del conseguimento del limite massimo d’età per il servizio attivo sul ruolo di consigliere. Con due voti favorevoli e un’astensione, dopo aver sentito lo stesso ex magistrato del pool Mani Pulite, aver acquisito documenti e il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, la Commissione verifica titoli ha quindi proposto al Plenum di deliberare la cessazione di Davigo “dalla carica di membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura a seguito di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età”, a partire dal 20 ottobre scorso e di “convalidare l’elezione a componente del Consiglio superiore della magistratura”, subentrante a Davigo, di Carmelo Celentano. Una decisione assunta il 19 ottobre dal Plenum, con tredici voti a favore, sei contrari e cinque astensioni, e impugnata davanti ai giudici amministrativi dall’ormai ex consigliere.
IL GIUDIZIO. Con un ricorso al Tar del Lazio, Davigo ha sostenuto che quanto stabilito da Palazzo dei Marescialli non è previsto da alcuna disposizione vigente, che è una violazione delle disposizioni normative di rango costituzionale ed ordinario, che fissano in quattro anni la durata del mandato, e che è motivato sulla base di una ricostruzione del ruolo e delle funzioni dei consiglieri elettivi togati del Csm palesemente in contrasto con i princìpi e i precetti della Costituzione, invocando anche una questione di legittimità costituzionale. Il Tribunale amministrativo, il 13 novembre scorso, ha però dichiarato il ricorso inammissibile, sostenendo che il giudice competente è quello ordinario, e così ha stabilito ieri anche il Consiglio di Stato, respingendo i motivi d’appello dell’ex magistrato.
I giudici hanno dunque ribadito che sono competenza del giudice ordinario appunto le controversie relative a “questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati (concernenti diritti soggettivi di elettorato)”, spettando invece alla giurisdizione amministrativa “le questioni afferenti alla regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo”. Il complesso delle considerazioni svolte, viene specificato nella sentenza appena emessa da Palazzo Spada, “milita per la complessiva reiezione del gravame e per la conferma della declinatoria della giurisdizione a favore del giudice ordinario, dinanzi al quale la lite potrà essere riproposta”.