Non potendo cancellare il diritto all’interruzione di gravidanza dalle parti del governo devono avere pensato che non ci sia niente di meglio che sabotarlo. In Italia il dibattito sull’aborto si scontra da sempre con un muro di silenzio istituzionale. La legge 194 del 1978, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), prevede la pubblicazione annuale di una relazione dettagliata sull’applicazione della norma. Tuttavia, come riporta Micol Maccario per Pagella Politica, questi dati cruciali sono sistematicamente in ritardo e, quando vengono rilasciati, risultano incompleti e poco utili.
Il governo Meloni è campione nel perpetuare questa tradizione di opacità. A sette mesi dalla scadenza legale, fissata a febbraio, la relazione del 2024 è ancora assente. Questo ritardo non è un’eccezione ma si inserisce in un sistema consolidato che attraversa diverse amministrazioni. L’ultimo report pubblicato nei tempi previsti risale al periodo pre-pandemico, smentendo l’alibi dell’emergenza sanitaria.
Diritto all’aborto, pochi dati aggiornati e la questione obiezione di coscienza
La carenza di dati aggiornati e dettagliati non è un mero problema burocratico. Rappresenta un ostacolo concreto per le donne che cercano di accedere all’IVG e impedisce una valutazione accurata dell’effettiva applicazione della legge 194 sul territorio nazionale. Le informazioni fornite sono aggregate per regione, rendendo impossibile conoscere la situazione specifica di ogni struttura ospedaliera.
L’obiezione di coscienza, diritto garantito dalla legge 194, si trasforma spesso in un’arma a doppio taglio. Secondo i dati del 2021, il 63,5% dei ginecologi in Italia è obiettore. Questa percentuale sale drammaticamente in alcune regioni del Sud, raggiungendo l’85% in Sicilia. Tuttavia, questi numeri non riflettono la realtà completa. Come evidenziato nel libro “Mai Dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, esistono “non obiettori” che di fatto non praticano aborti, distorcendo ulteriormente il quadro.
La mobilità del personale non obiettore, prevista dalla legge per garantire il servizio, rimane un’area grigia. La relazione ministeriale si limita a dichiarazioni vaghe, senza fornire dati concreti su come questa mobilità venga effettivamente implementata.
Il metodo farmacologico per l’IVG, introdotto in Italia nel 2009 e ampliato nel 2020, rappresenta un’opportunità importante. Nel 2021, il 45,3% degli interventi è stato effettuato con questo metodo. Tuttavia, l’accesso non è uniforme: in Liguria la percentuale sale al 72,5%, mentre nelle Marche si ferma al 19,6%.
La mancanza di trasparenza non si limita ai dati sull’obiezione di coscienza. Informazioni cruciali come la disponibilità dell’aborto farmacologico o chirurgico nelle singole strutture non sono accessibili al pubblico. Il vuoto informativo costringe le donne a navigare in un sistema opaco, affidandosi spesso a reti informali e associazioni per ottenere informazioni basilari.
I tentativi inascoltati
Di fronte a questa situazione, diverse organizzazioni come Pro-choice, Obiezione Respinta e l’associazione Luca Coscioni stanno cercando di colmare il gap informativo creando guide pratiche e canali di comunicazione diretti per assistere le donne nel processo di IVG.
Nel 2021, Lalli e Montegiove, insieme all’associazione Luca Coscioni e alla campagna “Dati bene comune”, hanno formalmente richiesto al ministero della Salute la pubblicazione di dati aperti, aggiornati e disaggregati per singola struttura. La richiesta, ad oggi inascoltata, mira a garantire una trasparenza che va oltre la semplice statistica, toccando il cuore del diritto all’autodeterminazione delle donne.
Il silenzio del governo Meloni su questo tema non può essere considerato neutrale. In un contesto in cui l’accesso all’aborto è già ostacolato da numerose barriere pratiche e culturali la mancanza di dati trasparenti e accessibili si configura come una strategia de facto per limitare l’applicazione della legge 194.