I politici condannati devono essere sospesi dal loro incarico. La legge Severino ha retto a un nuovo giudizio della Corte Costituzionale. Nessuno sconto anche se il pubblico amministratore viene assolto in primo grado e poi ritenuto colpevole in appello. L’ennesima conferma alla stretta in chiave anticorruzione impressa a partire dal Governo di Mario Monti è giunta da un ricorso fatto dal Tribunale di Vercelli. A sollevare l’ennesimo dubbio di costituzionalità sulla norma che porta il nome dell’ex guardasigilli Paola Severino erano stati i giudici vercellesi nel ricorso presentato da Paolo Tiramani (nella foto), sindaco di Borgosesia e deputato della Lega Nord, di cui è capogruppo in Vigilanza, contro la Prefettura di Vercelli.
L’esponente del Carroccio, coinvolto nell’inchiesta sulla cosiddetta rimborsopoli piemontese, era stato assolto in primo grado e poi condannato per peculato a un anno e cinque mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Torino. Il prefetto il 20 dicembre 2018 lo aveva quindi sospeso dal suo incarico di primo cittadino. Impugnata tale decisione, il 17 febbraio dell’anno scorso Tiramani era potuto rientrare in Comune dopo aver ottenuto dal Tribunale il congelamento del pronunciamento, nell’attesa della decisione della Corte Costituzionale. Alla Consulta era stato posto il dubbio di incostituzionalità sostenendo il ricorrente che chi viene assolto in primo grado e condannato in secondo viene sospeso per 18 mesi e chi, già condannato in primo grado, si vede confermare la condanna in appello solo per 12 mesi.
Una tesi contrastata dalla Presidenza del consiglio dei ministri, specificando che non vi è alcuna stortura, in quanto in realtà chi viene condannato in primo grado viene sospeso per 18 mesi e chi si vede confermare la condanna in appello per altri 12. Nulla di strano dunque che venga sospeso per 18 mesi chi viene condannato in appello dopo essere stato assolto in primo grado. Abbastanza per far dichiarare alla Consulta la manifesta infondatezza della questione posta dal Tribunale di Vercelli. Una sentenza che avrebbe portato nuovamente alla sospensione di Tiramani, che non rischia però più di essere messo nuovamente alla porta dal prefetto essendo intanto stato assolto il 18 novembre scorso dalla Cassazione.
Il deputato Tiramani non è il primo politico colpito dalla legge Severino e neppure il primo ad aver cercato di far bocciare quella norma dalla Corte Costituzionale. Silvio Berlusconi, che ha sollevato la questione anche davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, oltre a perdere il seggio in Parlamento dopo la condanna subita nel processo Mediaset per frode fiscale, in questo caso definitiva, è stato infatti dichiarato per mesi incandidabile.
I PRECEDENTI. Augusto Minzolini, condannato per peculato a due anni e mezzo di reclusione relativamente alle spese fatte con la carta di credito della Rai, quando era parlamentare di Forza Italia era stato salvato dal Senato, ma alla fine aveva deciso di rassegnare lui le dimissioni. Sempre in base alla Severino aveva perso il seggio a Montecitorio l’azzurro Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto, coinvolto nello scandalo delle mazzette per il Mose, il sistema di barriere mobili per proteggere Venezia dall’acqua alta. In Calabria, dopo una condanna a sei anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso, aveva dovuto invece dire addio alla poltrona da governatore Giuseppe Scopelliti, esponente di Ncd.
Sospeso per una condanna a un anno di reclusione per abuso d’ufficio, relativa alla nomina di un project manager per la realizzazione del termovalorizzatore di Salerno, impugnò la sospensione e fece finire il caso alla Consulta il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, poi assolto in appello, vedendo anche in quel caso la Corte Costituzionale avallare la Severino. E lo stesso accadde con il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, condannato in primo grado per abuso d’ufficio nel processo Why Not e poi assolto sempre in appello.