Le rivolte anti-governative che continuano a consumarsi in Iran contro il regime teocratico di Teheran fanno vibrare anche le coscienze di noi occidentali al grido di Donna-Vita-Libertà. L’inizio di quella che potrebbe diventare una vera e propria rivoluzione, con il conseguente rovesciamento del potere degli ayatollah, si ha lo scorso settembre con la morte di Mahsa Amini per mano della “polizia morale” che l’aveva arrestata per l’uso non corretto del velo.
Questo ennesimo femminicidio, raccontato dalle autorità iraniane come una morte per cause naturali, è emblematico per comprendere quale sia il valore della donna in una cultura fondamentalista in cui una delle colonne portanti è certamente il patriarcato.
Il codice civile vigente in uno Stato che si regge sull’ oppressione e delegittimazione del corpo della donna e dei suoi diritti come persona vede disciplinato dalla legge il suo valore come dimezzato a quello dell’uomo: come quando si è in Tribunale dinanzi a un giudice la parola della donna varrà metà rispetto a quella dell’uomo; così come nell’asse editario la quota destinata alla donna dovrà essere il 50% di quella assegnata all’uomo. Per citare solo due delle infinite ricadute concrete che la discriminazione della donna può produrre in uno stato come l’Iran.
Ma non è una distaccata analisi sul fondamentalismo islamico a doverci muovere in questo passaggio storico, bensì un pragmatismo guidato dal rispetto dei diritti della persona che non conosce confini territoriali e politici. Il gesto che ha inondato i media non più di qualche settimana fa: tagliarsi una ciocca di capelli – simbolo di sensualità e femminilità – è stata un’importante manifestazione di solidarietà nei confronti delle donne iraniane “in nome di Mahsa”.
Questa stessa solidarietà deve alimentare una visione strategica dei rapporti che l’Occidente, ben oltre gli interessi di carattere economico, intende avere con l’Iran. La guerra in Ucraina ha contribuito ad alimentare ulteriormente la distanza vedendo il regime di Teheran foraggiare di droni la Russia manifestando così il chiaro interesse nel consolidare l’asse orientale includendo, oltre alla potenza putiniana, anche la Cina. Un nuovo pacchetto di sanzioni da parte dell’Ue combinato all’elenco di 29 iraniani sanzionati è quanto emerso dal Consiglio di Affari Esteri di Bruxelles in questi giorni in vista di un eventuale inasprimento che potrebbe essere deciso nel prossimo Consigilio a Dicembre.
Ma l’attenzione sembra essere concentrata più che su Bruxelles sul Qatar, dove si giocheranno i mondiali e dove la nazionale iraniana vede convocati i “ribelli” Taremi e Azmoun chiaramente schierati con la rivolta e dai quali potrebbero esserci chiari segni di dissidenza in quella che è una vetrina globale. Di queste ore è l’arresto di un altro calciatore che si è mostrato apertamente anti-regime e che manifestava a un corteo anti-protesta.
Lo sport potrebbe essere dunque ancora una volta il faro da puntare sulla difesa dei diritti umani anche se – questo va sottolineato – appare alquanto bizzarro farlo in Qatar dove i diritti – per dirla con l’inarrestabile Fiorello – “sono lo zerbino di casa”, dunque da calpestare ad ogni occasione. I diritti negati alle minoranze tutte: dai lavoratori, passando per la comunità LGBTQ+ sino ad arrivare ancora una volta alle donne.
Giocare una partita proprio lì, sperando che i giocatori iraniani inscenino la loro dissidenza, sembra un modo per lavare le nostre coscienze senza sporcarci davvero le mani. Una maniera per rivendicare il nostro essere “buoni” a dispetto dei “cattivi” che però legittimiamo come interlocutori o partner quando questi incrociano i nostri interessi economico-commerciali.
È evidente che l’evento sportivo di portata mondiale non possa essere separato dal contesto in cui è immerso, e che dietro questi mondiali di calcio ci sia una forma di sportwashing del Qatar, ovvero una vera e propria operazione di pulizia della propria immagine.
E allora quando pensiamo alle donne iraniane, alle ciocche di capelli tagliati in favor di telecamere, o alle sanzioni europee definite beffardamente dai sanzionati “carta bruciata”, e attendiamo speranzosi che la loro nazionale manifesti in campo la propria dissidenza, ricordiamoci che per vincere la partita dei diritti oltre ai giocatori e alle regole è decisivo il “campo da gioco”. Dovrebbero allora ritirarsi tutti dal Qatar gridando forte Donna-Vita-Libertà!