Il governo ha commissariato con un decreto legge l’Inps, rimuovendo gli attuali vertici. Per dare un tocco di legittimità al provvedimento di rimozione di Pasquale Tridico, la maggioranza si fa scudo con una palese menzogna, sostenendo che il presidente silurato, insediatosi durante il governo Conte 1, commissariò il suo predecessore, Tito Boeri. In realtà Boeri decadde il 16 febbraio 2019 e Tridico fu nominato solo un mese dopo, il 14 marzo 2019, come “organo munito dei poteri di presidente e cda”.
L’ultimo a pagare è stato il presidente dell’Inps Tridico. Ma la stessa sorte è toccata a Lissner e alla futura deputata Tajani
Nel 2019 il cambio della governance fu reale, ovvero avvenne un cambiamento organizzativo gestionale importante, si creò il cda, perché tutti i sindacati e le forze politiche avevano chiesto maggior pluralismo di gestione, cosa che la precedente organizzazione non sembrava garantire. Era infatti una anomalia, rispetto al panorama del resto della pubblica amministrazione, che l’Inps avesse un organo monocratico senza cda, frutto di stagioni precedenti di governo dell’Istituto.
In ogni caso, tale “cambio forte” di governance avvenne sempre dopo la scadenza naturale di Boeri, non prima o durante. L’allora direttore generale nominato da Boeri, Gabriella Di Michele, è rimasta in carica fino alla scadenza naturale, nel febbraio 2022, completando il mandato di cinque anni. La scadenza naturale del presidente e del cda attuale sarebbe al 15 aprile 2024, come confermato anche da un parere dell’Avvocatura dello Stato. Il commissariamento è quindi strumentale solo a far decadere gli organi con un anno di anticipo e non a cambiare la governance, che rimane sostanzialmente la stessa.
Inoltre, il commissariamento fa decadere anche il direttore generale, che ha un incarico di 5 anni che sarebbe cessato a febbraio 2027. Su questo aspetto sembrano emergere profili di illegittimità amministrativa e si configura un abuso del potere politico verso il potere amministrativo. L’Inps, infatti, non è un ente soggetto a spoil system, in quanto regolato da una legge speciale (la legge 88 del 1989). Identica sorte è toccata due mesi fa a Cristina Tajani (che entrerà ora al Senato al posto del dimissionario Carlo Cottarelli, Pd), sostituita dopo solo otto mesi dal suo insediamento come presidente e ad di Anpal Servizi, società in house dell’Anpal, l’agenzia nazionale di politiche attive per il lavoro.
Il decreto era stato firmato da ministero del Lavoro e Mef, al posto della Tajani all’Anpal è andato un fedelissimo della ministra del lavoro, il sardo Massimo Temussi, già consulente personale della Calderone. Temussi è uno che piace molto a Fratelli d’Italia, tanto che il partito di Giorgia Meloni avrebbe fatto il suo nome come possibile candidato del centrodestra alle prossime elezioni regionali sarde del 2024. Tajani aveva annunciato un ricorso al Tar perché anche l’Anpal, come l’Inps, non è soggetta a spoils system e l’incarico sarebbe scaduto tra due anni. Ma soprattutto l’ex assessora comunale milanese ha pagato per le sue posizioni a favore del reddito di cittadinanza.
Giovedì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che ha introdotto un nuovo limite anagrafico per gli amministratori dei teatri lirici: 70 anni. Uno degli effetti è stato quello di mettere fuori gioco Stéphane Lissner, sovrintendente e direttore artistico del teatro San Carlo di Napoli, poltrona alla quale sembrava destinato fino a ieri l’ad dimissionario della Rai Carlo Fuortes, il cui mandato scadeva nel 2024. Stando a indiscrezioni Fuortes non prenderà il posto di Lissner al San Carlo. Quale sarà stata allora la moneta di scambio con Giorgia Meloni? Lo si scoprirà presto.