C’era passata la sindaca M5S di Roma, Virginia Raggi, indagata e prosciolta per abuso d’ufficio per la nomina di Renato Marra in Campidoglio. Ci sta passando ora il governatore leghista della Lombardia, Attilio Fontana, indagato per lo stesso reato nelle maglie della Tangentopoli bis scoperchiata dai pm di Milano. Ed è proprio sull’abuso d’ufficio che si accendono le ultime scintille tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini a due giorni dalle Europee. Un reato che l’altra sera, davanti alle telecamere di Porta a Porta, il segretario della Lega aveva detto di voler abolire: “Perché non posso bloccare ottomila sindaci per la paura che uno possa essere indagato – aveva argomentato il vicepremier -. Ci sono sindaci che non firmano niente per paura di essere indagati”.
Parole che hanno fatto saltare dalla sedia il leader dei Cinque Stelle, che della legalità hanno fatto la propria bandiera sin dagli esordi del Movimento. E che la proposta di Salvini arrivi a poche ore dalle Europee e con l’inchiesta milanese che ha coinvolto il governatore lombardo della Lega, Fontana, ancora aperta non fa che avvelenare ulteriormente i pozzi.
POSIZIONI IN CAMPO. “Voglio scommettere sulla buona fede degli italiani, degli imprenditori, dei sindaci: oggi abbiamo paura di firmare gli atti, di aprire cantieri, di sistemare le scuole – ha ribadito il ministro dell’Interno, che non lascia e, anzi, raddoppia -. Bisogna togliere burocrazia e vincoli. Se per paura che qualcuno rubi blocchiamo tutto allora mettiamo il cartello affittasi ai confini dell’Italia e offriamoci alla prima multinazionale cinese che arriva”. Parole bollate come irricevibili da Di Maio che respinge seccamente la proposta: “Più lavoro e meno stronzate!”, mette agli atti via Twitter. Il sospetto tra i Cinque Stelle è che Salvini punti a rastrellare gli ultimi voti in vista delle Europee tra gli amministratori pubblici, i sindaci e i governatori indagati o imputati per quel reato, che possono contare su un proprio bacino elettorale nei territori.
Ma il tema è delicato. Come dimostra anche il parere espresso dal presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione, Raffaele Cantone: l’abuso d’ufficio non va certo abolito, ma si può pensare a una modifica. D’altra parte, ricorda Salvini, non è la prima volta che Cantone sottolinea la necessità di “una profonda revisione del reato che rappresenta una vera anomalia che provoca migliaia di fascicoli aperti nelle Procure che si concludono per la maggior parte dei casi con assoluzioni ma nel frattempo bloccano attività degli amministratori locali”. Profonda revisione, dunque, e non “abolizione”. Parole che tra i Cinque Stelle leggono come una “marcia indietro”. E che in ambienti parlamentari considerano rilevanti: “è inutile che ci giriamo intorno, Salvini e la Lega ieri (mercoledì, ndr) hanno parlato di abolizione, hanno detto di voler abolire il reato di abuso d’ufficio.
Se poi, come suggerisce il presidente Cantone, il quale ha precisato di essere contrario anche lui all’abolizione, si vuole rivedere la norma, necessità che peraltro riguarda molte altre leggi e provvedimenti, ben venga. Quando si migliorano le cose siamo sempre felici, è quando si vogliono nascondere sotto al tappeto che non ci va bene”. Il commento di Di Maio suona come un canto di vittoria: “Mi fa piacere che Matteo Salvini abbia fatto marcia indietro. Sto solo cercando di farlo ragionare”.