La protezione sociale, ossia l’insieme di politiche e programmi pensati per combattere e prevenire la povertà e le vulnerabilità sociali, è un diritto fondamentale nonché uno dei pilastri dell’Unione europea. Malgrado ciò, in Italia se ne parla sempre molto poco. Professore Domenico De Masi, come si spiega il silenzio della politica e dei media mainstream verso questo aspetto vitale dello Stato?
“La realtà è che non è un elemento cruciale neppure per l’Europa. Tenga conto che la protezione sociale assorbe una parte davvero notevole dei fondi per essa stanziati al solo scopo di mantenere le organizzazioni che se ne occupano. Molto banalmente questo significa che la protezione sociale costa molto anche soltanto per essere organizzata. Si figuri quanto costerebbe farla funzionare davvero. Ma le faccio un esempio, i centri per l’impiego in Germania impiegano 111mila persone e lo Stato spende 12 miliardi di euro l’anno per mantenere la macchina delle politiche attive. Noi, invece, per lo stesso scopo abbiamo a disposizione 9mila persone e spendiamo 780 milioni. Come vede si tratta di dati molto ingenerosi per il nostro Paese. Per rispondere alla sua domanda le dico che la questione è più semplice di quanto non si pensi: di solito chi sta bene non riesce a mettersi nei panni di chi fatica ad arrivare a fine mese”.
Stando agli ultimi dati di Openpolis, dal 2011 al 2019 la spesa per l’assistenza sociale è aumentata in tutta l’Unione europea ma a tassi molto diversi. In Germania si è passati dai 10mila euro pro capite agli oltre 12mila (+2.940 euro) mentre l’Italia dai 7.797 euro pro capite agli 8.787 (+991 euro). Un aumento, quello italiano, del 13% a fronte di una media europea del 23%. Come si spiega che l’Italia è tra i Paesi che investono di meno nel sociale?
“Bisogna tenere conto che in Italia c’è stato un conflitto tra gli assistenti sociali appartenenti al mondo laico e quelli legati alle realtà cattoliche. Quest’ultime si sono costruite un proprio organigramma spesso parallelo a quello statale e ciò non può che dipendere da un reciproco senso di sfiducia e diffidenza. Inoltre va considerato che il settore è in ebollizione ma non è mai stato normato adeguatamente. Per fortuna a supplire alle carenze ci pensa il volontariato che è una realtà encomiabile e sta tenendo a bada la gran parte dei problemi. Ma da solo il volontariato non può farsi carico dell’intero problema”.
Secondo Eurostat, l’Italia spende il 13,9% dei fondi destinati alla protezione sociale in assistenza agli anziani – circa 250 miliardi di euro – mentre per le prestazioni di assistenza sanitaria la spesa si ferma a 124 milioni e risulta in discesa. E fa ancora peggio per famiglie e giovani con un misero 0,1% destinato all’ambito degli alloggi. Che cosa significano questi numeri?
“A partire dagli anni ‘70 ma con un forte incremento negli ultimi decenni, c’è stata una vera e propria lotta al Welfare. L’avvento del neoliberismo, in opposizione alla socialdemocrazia e all’attenzione keynesiana verso i bisogni della cittadinanza, ha fatto in modo che in Italia sono state demolite quasi tutte le conquiste passate. Tenga conto che nel ‘78 nel nostro Paese è stata varata la riforma sanitaria, una delle migliori in Europa. Bene quella riforma a distanza di anni è stata progressivamente svuotata di contenuti. Sono stati aumentati i ticket per le prestazioni sanitarie e anche i prezzi dei farmaci. E anche oggi in Italia non si fa che parlare di togliere risorse dal Welfare, dalla Sanità e dalla Scuola, per darle alle imprese. È una follia”.
Dati alla mano è la Francia il Paese Ue che in proporzione spende di più in protezione sociale con il 31,2% mentre l’Italia, pur essendo una delle maggiori economie d’Europa, si ferma al 28,3% ponendosi a metà della classifica. Davanti a questi numeri come si spiega che il Centrodestra anziché pensare a migliorare la rete di protezione contro la povertà sembra interessato soprattutto a eliminare il Reddito di cittadinanza?
“Semmai tutta il Centrodestra e anche il Centro, Matteo Renzi in testa che ha perfino proposto un referendum per abolire il Reddito, sono contrari a questa misura contro la povertà. Anche qui l’idea è di togliere ai più deboli per dare ai ricchi. Peccato che se guardiamo al Reddito di cittadinanza scopriamo che le cose non sono come ce le raccontano. Nell’Ocse noi siamo stati gli ultimi ad adottare una misura di questo tipo e il nostro sussidio è addirittura il più basso di tutti. La realtà è che l’Italia è lo Stato meno sensibile su questi argomenti ed è un controsenso culturale visto che siamo un Paese cattolico e che per questo dovrebbe puntare molto sulla carità. Più in generale questi sono i frutti di chi segue le politiche neoliberiste che quando devono recuperare fondi, tagliano sempre la spesa per la Scuola e per il Welfare. Ma se le cose vanno così, me lo lasci dire, parte della colpa è anche del giornalismo. Basta guardare ai talk show televisivi dove quando si parla di Reddito di cittadinanza si enfatizza sempre e soltanto il fenomeno dei furbetti per creare indignazione”.
Quali sono, secondo lei, le più grandi sfide che il prossimo Governo dovrà affrontare per mettere in sicurezza un tessuto sociale sempre più lacerato dopo anni di pandemia e di crisi economica?
“Intanto è vergognoso che si è discusso di 5 o 6 ministeri mentre non si è detto nulla su come andranno impostati i dicasteri della Scuola, dell’Università e della Cultura. Evidentemente vengono considerati dicasteri di scarsa importanza tanto che come possibili ministri sono stati fatti nomi, come quello della Bernini per l’Università, che sono del tutto inadeguati. Ma le pare possibile che con circa 70mila professori di università, tra cui anche qualche premio nobel, si parli della Bernini? È chiaro, secondo me, che l’attuale bozza di Governo è molto scadente e ciò è all’opposto di quanto diceva la Meloni affermando che la sua squadra sarebbe stata la migliore possibile”.