Governo Draghi fino alla scadenza naturale delle legislatura? Forse. Senz’altro non è scontato. I ragionamenti possono essere tanti e variegati: se da una parte incide il fatto che ormai siamo agli sgoccioli (si voterà nel 2023), se è altrettanto vero che per pochi mesi è difficile che un gran numero di parlamentari voglia rinunciare ad accumulare i mesi necessari per poi accedere al vitalizio; se tutto questo è vero, non si può non considerare gli effetti delle ultime elezioni amministrative.
Governo Draghi fino alla scadenza naturale delle legislatura? Forse.
A cominciare da un fatto: tanto Lega quanto Movimento cinque stelle (che costituiscono quasi il 70% della maggioranza) non possono più abbozzare dinanzi alle posizioni di Mario Draghi e dell’intero governo che non sono congeniali o a Matteo Salvini in un caso, o a Giuseppe Conte nell’altro. E questo per due ragioni: da una parte si rischia di continuare a perdere elettori; dall’altra le guerre intestine rischiano di fare vittime illustri, partendo proprio dai leader.
Questa è ad esempio l’aria che si respira in casa Lega. Il giorno dopo l’esito delle comunali si è rianimata la “fronda” veneta nella Lega. Due esponenti del partito di via Bellerio, l’assessore regionale Roberto Marcato e l’europarlamentare Toni Da Re, hanno criticato aspramente Salvini, parlando di “dati imbarazzanti” della lista Lega nella consultazione e chiedendo che il segretario leghista vada in Veneto a spiegare la sua linea politica.
“Se arriviamo a questi numeri, qualcuno deve anche dire ‘Guardiamoci negli occhi’. Qui si parla della guerra in Ucraina, ma dobbiamo parlare della guerra nella Lega”, ha detto Da Re. A far più male però sono soprattutto i risultati referendari: una debacle totale su cui invece la Lega e Salvini credevano molto, tanto che il Capitano aveva quasi fatto più post e video per invitare al voto del referendum che per i suoi candidati nelle varie città. Questo è il motivo per cui adesso difficilmente la Lega sarà disponibile a trattare sulla riforma Cartabia.
Non a caso sono piovute valanghe di emendamenti e richiesta di voto segreto sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm: tutte le armi parlamentari tipiche dell’opposizione al governo, e per di più contro un provvedimento che ingloba tre dei cinque referendum sulla giustizia sostenuto dalla Lega. Un paradosso? Assolutamente no. La volontà di riscatto e di voler colpire un governo – e degli alleati – non amato dal proprio elettorato.
Un problema che evidentemente si pone anche per il Movimento, in cui la discussione sull’appoggio al governo Draghi è iniziata da tempi non sospetti (e forse non si è mai interrotta). Il ragionamento che si fa è soprattutto uno: l’unico momento in cui, stando ai sondaggi, Conte ha recuperato qualche punto è quando si è chiaramente opposto all’invio di nuove armi all’Ucraina, scelta invece spalleggiata da Draghi. È nell’opposizione, dunque, o quantomeno nella volontà di non cedere il passo, che il Movimento ritrova i suoi aficionados.
Ecco perché, soprattutto su uno dei temi più identitari per il Movimento Cinque Stelle, quello del lavoro, del Reddito di Cittadinanza e adesso del salario minimo, non si accetteranno dietrofront di nessun genere, specie ora che la questione è diventata di attualità anche per l’Unione europea: l’idea è giungere a un risultato concreto, così da poterselo giocare anche nella futura campagna elettorale. Perché le elezioni non sono ancora dietro l’angolo, ma chissà se la legislatura finirà nei tempi previsti.