Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, a Rio, gareggerà una squadra composta da rifugiati. Atleti che oltre agli estenuanti allenamenti, hanno dovuto superare guerre, violenze e persecuzioni. Rio 2016 rappresenta per molti di loro un sogno che diventa realtà.
C’è da giurarci che il primo tifoso della Nazionale Rifugiati sarà il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che tanto ha fatto affinché si cotituisse la squadra olimpica. La bandiera che li rappresenterà sarà qualle dello stesso Comitato Olimpico Internazionale. Perché rifugiati. Una vera e propria squadra, composta da dieci persone, che domani, 5 agosto, sfilerà assieme a tutti gli altri e gareggerà alla pari, anche se da anni vivono in fuga dal loro Paese.
La storia più raccontata in questi giorni è stata sicuramente quella di Yusra Mardini, la siriana di 18 anni rifugiatasi in Germania. Partita da Damasco con la sorella Sarah, Yusra ha dovuto nuotare per alcuni chilometri nell’Egeo perché il suo gommone rischiava di affondare nel mare in tempesta. A bordo erano in venti, ma avrebbero dovuto essere in sette. Ma le sue fatiche non sono finite qui. Perché poi, arrivata in Macedonia, ha dovuto attraversare a piedi la Macedonia stessa e poi la Serbia e l’Ungheria, prima di arrivare in Austria e poi a Berlino, dove oggi vive con la sua famiglia.
Accanto a lei gareggeranno anche People Misenga, 23enne della Repubblica Democratica del Congo ma che vive da anni a Rio. Esattamente come Yolande Bukasa: anche lei di origine congolese e vive in Brasile dal 2013, anno in cui disputò i mondiali di judo proprio a Rio ma non fece più ritorno in patria. Rami Anis, invece, si è rifugiato in Belgio nel 2015 ma la sua fuga dalla guerra in Siria era iniziata già nel 2011, quando scappò in Turchia. Aveva 20 anni e una grande passione per il nuoto e oggi ha la possibilità di coronare il suo sogno, gareggiando in vasca nei 100 metri farfalla.
Gli altri sei atleti della squadra più speciale dei Giochi saranno impegnati nell’atletica leggera. E sono Yonas Kinde (maratona), fuggito dall’Etiopia nel 2013; James Nyang Chiengjiek, classe ’88, è originario del Sud Sudan e vive nel campo di Kukuma, in Kenya, ormai da anni e oggi è a Rio per i 400 metri. C’è anche il suo connazionale Yech Pur Biel, in fuga dal 2005, che sarà impegnato nella distanza doppia, gli 800 metri.
Anche Paulo Amotun Lokoro ha abbandonato il Sud Sudan per riparare a Kukuma ed è pronto a sfidare tanti mezzofondisti africani nei 1500 metri. Poi altre due donne sudanesi, Rose Nathike Lokonyen e Anjelina Nadai Lohalith. La prima sarà impegnata negli 800, mentre Anjelina è attesa dai 1.500 metri. Non c’è che far loro un grosso in bocca al lupo. Perché tutto il mondo, un po’ per sincera partecipazione un po’ – diciamolo – per senso di colpa, farà il tifo per loro.