In Francia e Israele la crisi politica è divampata diventando una crisi sociale. In Germania la richiesta di aumento dei salari ha dato vita a uno degli scioperi più impattante degli ultimi decenni. In Italia qualcuno, pur di non farsi carico della lezione che arriva dall’estero, ha il coraggio di storpiare il significato della democrazia.
In Italia qualcuno, pur di non farsi carico della lezione che arriva dall’estero, ha il coraggio di storpiare il significato della democrazia
In Israele il capo del governo Benyamin Netanyahu sta facendo i conti con il milione di persone che da giorni manifesta contro una finta riforma della giustizia che gli servirebbe per mettersi al riparo da un processo per corruzione. Il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant che si era opposto alla legge ad personam ha scatenato una protesta che ha bloccato aeroporti e ospedali. L’Histadrut, il più grande gruppo sindacale israeliano, ha annunciato uno sciopero generale ‘storico’ per protestare contro la riforma giudiziaria del governo di Netanyahu.
Una delle più grandi catene di centri commerciali del Paese, Big, ha annunciato che si unirà allo sciopero generale. Le rivolte, oltre alle “preoccupazioni” degli Stati Uniti e alle dimissioni del console a New York, hanno spinto diversi membri di governo e sostenitori della maggioranza a chiedere una riflessione sulla legge che il primo ministro israeliano vuole approvare a tutti i costi. Ieri in serata.
In Francia da giorni continuano le proteste e i disagi in tutto il Paese per la contestata riforma delle pensioni voluta da Macron che non dispone della maggioranza parlamentare. Invece di prenderne atto, il governo realizza un golpe bianco ricorrendo al famigerato 49.3, che consente al Presidente di varare una legge senza passare per il voto del Parlamento. Dominique Rousseau, professore alla Sorbonne, ha scritto su le Monde: “Siamo di fronte a una crisi di regime, perché è il principio stesso della rappresentanza del popolo attraverso gli eletti, quello ereditato dal 1789, e sul quale poggiano le nostre istituzioni, che è messo in causa”.
In Italia la schiera (sempre quella) dei competenti esulta. “Viva i capi di governo che se ne fregano del popolo!”, ci spiegano, elogiando chi ignora il consenso popolare perché “i governanti sono illuminati” e invece il popolo è bue. La curiosa tesi sarebbe che un capo del governo (badate bene, basta il capo perché qui si parla di decisioni che le maggioranze di governo non condividono in toto) sia legittimato dalle elezioni e debba tirare dritto. Qualcuno teorizza addirittura che solidarizzare con gli scioperanti francesi e israeliani sia un attacco alla stabilità democratica italiana (quella che si allarma per un po’ di vernice lavabile su un muro).
Siamo oltre la post-democrazia. Siamo alla corruzione del pensiero democratico: si prova ad alimentare l’idea che ignorare le scelte della maggioranza sia il dovere di un bravo cittadino, buttando l’azione sostanziale di un governo che deve attenersi ai limiti costituzionali. Mentre qualcuno si straccia le vesti pur di difendere Macron (per difendere il dogma neoliberale, perché a loro non interessa nulla di Macron) ci si dimentica che il punto non è il “chi” ma il “come”.
Ci si dimentica il ruolo in una democrazia dei corpi intermedi, come i sindacati, che agiscono ben oltre il periodo elettorale. O forse si vuole dimenticare che i socialisti europei, quelli che dovrebbero appoggiare le proteste francesi, hanno approvato spesso leggi peggiori di quelle di Macron e hanno concesso leggi ad personam come vorrebbe Netanyahu. Poi, mi raccomando, tutti a piangere perché la gente non vota.