“Brigate e passamontagna anche no. È stato un errore politico partecipare alla manifestazione dei 5s. Vi voglio bene, ma non mi ritrovo in questa linea politica”. Con queste parole, messe nero su bianco su Twitter, il consigliere regionale Pd del Lazio, Alessio D’Amato, ha comunicato il suo addio all’Assemblea nazionale dem, con quella che appare come una giravolta d’altri tempi in fatto di alleanza con i Cinque Stelle.
L’ex candidato del Lazio Alessio D’Amato voleva allearsi con Conte. L’addio alla Schlein per il corteo è grottesco
Troppo gravi, secondo lui, le parole con cui Beppe Grillo ha aizzato la folla presente alla manifestazione contro il precariato di sabato scorso a cui, dopo un dietrofront dell’ultimo minuto, ha preso parte pure la segretaria Pd, Elly Schlein. Parole ribadite pure in una lunga intervista a La Repubblica in cui ha aggiunto che la partecipazione della leader dem “è stato un errore politico e una sottovalutazione, vedo una sorta di spirito gregario in questa partecipazione. Ancora più grave è il mancato ed immediato pubblico dissenso da Grillo e Ovadia”.
Eppure D’Amato un tempo non sembrava tanto restio ad un’alleanza tra Pd e M5S. Del resto quando ha ricoperto il ruolo di assessore alla Sanità del Lazio, durante l’era di Nicola Zingaretti, ha governato a lungo assieme ai pentastellati. E lui, pur senza essere uno dei più accesi sostenitori dell’alleanza giallorossa, quella sinergia se l’è fatta andare bene per diverso tempo senza tanti mugugni e mal di pancia. Un patto che, fosse stato per D’Amato, sarebbe proseguito anche successivamente visto che quando si è candidato a governatore del Lazio ha più volte ‘corteggiato’ il Movimento 5 Stelle – senza riuscire a convincerlo – nella speranza di unire le forze contro il Centrodestra che poi, come noto, ha trionfato alle elezioni con Francesco Rocca.
Quando ancora i giochi non erano fatti e lui si era appena proposto come candidato unitario del Centrosinistra, sfruttando il fatto che né il Pd e né M5S avevano scelto chi presentare, era solito strizzare l’occhio ai potenziali alleati. È successo a maggio dell’anno scorso quando temendo che sul suo nome non si sarebbe trovato un accordo, a chi gli chiedeva se l’alleanza giallorossa potesse vacillare lui rispondeva sicuro: “Io penso di no, la nostra esperienza in Regione è stata importante e questo sondaggio (quello di Euromedia Research in cui veniva descritto come l’unico nome capace di battere le destre, ndr) lo conferma, non dobbiamo smarrire il lavoro di questi anni sul campo largo”.
Proprio per questo raccontava che aveva più volte dialogato con l’assessore regionale grillino, Roberta Lombardi, di possibili accordi rivelando che “da parte sua non ho trovato pregiudizi ideologici o linee rosse, ma un buon senso e un’attenzione a cimentarci sulle questione concrete”. Insomma D’Amato non sarà stato un grande sostenitore dell’alleanza progressista ma sicuramente all’epoca era ben lieto di poter continuare il percorso insieme ai Cinque Stelle.
Peccato che le cose di giorno in giorno si sono complicate, fino a quello che sembrava il punto di rottura con M5S che aveva negato l’appoggio alla candidatura di D’Amato preferendo puntare sulla giornalista Rai, Donatella Bianchi. Ma neanche in quell’occasione l’assessore regionale alla Sanità si arrendeva all’inevitabile tanto che nella puntata del 4 gennaio scorso di Tagatà su La 7, rilanciava l’idea di un’alleanza: “Da parte mia le porte sono sempre aperte, anche per un accordo in extremis. Se Donatella Bianchi volesse fare un ticket sarebbe una cosa gradita”.
“Se si vuole raccogliere questo appello sarebbe un elemento di novità. Poi voglio ricordare che noi vincemmo anche avendo come competitor sia il centrodestra, sia il Movimento 5 Stelle. In ogni caso io corro per vincere. Ma il Lazio è casa nostra. Governiamo insieme al M5s in regione” concludeva D’Amato. Si arriva così al 21 gennaio quando le possibilità di un accordo con i pentastellati sono definitivamente tramontate e così il braccio destro di Zingaretti tenta l’ultima disperata carta con un appello direttamente indirizzato agli elettori M5S: “Hanno la possibilità di esercitare il voto disgiunto sulla lista e il candidato presidente”.
In altre parole un voto per D’Amato presidente e uno sulla lista pentastellata. Ma è sui motivi della rottura con i pentastellati che il dem si supera spiegando che “abbiamo un programma riformista e progressista importante, purtroppo non è dipeso da me l’elemento di rottura con il M5S”, facendo riferimento al termovalorizzatore che sarebbe stato il casus belli. L’opera, spiegava D’Amato, “esula dalle competenze regionali, è un’opera del commissario e va fatta. Non è che quando è stata decisa a livello nazionale i Cinque Stelle sono usciti dalla giunta del Lazio: sono nel governo regionale, questo è il paradosso. Loro devono spiegare perché non sostengono la mia candidatura”.
Peccato che il candidato governatore all’epoca non la raccontò tutta. A pesare sul mancato accordo con i 5S, infatti, fu la condanna della Corte dei Conti da lui ricevuta – e per la quale propose ricorso dichiarandosi innocente – che spinse Giuseppe Conte a chiudere i giochi: “Io non posso accettare che in una lista del M5S ci possa essere una persona che deve alla Regione Lazio quasi 300mila euro perché ha creato un danno erariale accertato dallo Stato”.