di Francesco Nardi
Tutti contro tutti. Questa è la sintesi brutale che descrive la situazione nel Partito democratico. Una situazione che ormai non si tenta neanche più di nascondere davvero. Anche perché è difficile mascherare o dare un senso organico alle ospitate televisive degli esponenti piddini che offrono ognuna una soluzione diversa per uscire dallo stallo istituzionale.
Il tempo che il Quirinale ha concesso a Bersani con l’artificio della nomina delle commissioni di saggi (nessuno ne ha saputo più nulla) si sta rivelando il peggior nemico del segretario del Pd, perché ogni giorno che passa nel partito si aprono crepe sempre più profonde. Non solo più tra le componenti di diversa estrazione, che normalmente si muovono guerra, ma ormai anche all’interno delle stesse correnti che un tempo offrivano un contesto di riferimento attendibile.
Senza punti di riferimento
Ed ecco una parola chiave di questa buia stagione del partito: “riferimento”, appunto. Fino ad oggi si è dato troppo superficialmente per scontato che le trupe di Bersani e i pretoriani del segretario si muovessero come un solo uomo e con condivisa strategia. Quello che invece sta avvenendo indica però tutt’altro: si moltiplicano segnali di insofferenza inediti e che deflagrano in rumours “che fanno titolo” e che con ancora più clamore non trovano smentita. Il problema più evidente è proprio tra Bersani e D’Alema con quest’ultimo , da sempre vocato “a occuparsi del mondo” che già da qualche giorno guarda oltre l’attuale segreteria.
La verità è che all’unico ex comunista che sia riuscito a prendere Palazzo Chigi non sono andate giù le manovre dell’uomo di Bettola a proposito del Quirinale, e in particolare non sopporta (e come potrebbe?) la prospettiva di dover far fronte alla vendetta di Romano Prodi, tornato prepotentemente protagonista dei retroscena che raccontano la Corsa al Colle.
L’irrequietezza dei giovani turchi è tanto un segnale chiaro dell’insofferenza dell’uscente presidente del Copasir quanto della resistenza che i bersaniani vi oppongono. E anche le manovre di parte della nuova guardia, che ha notevolmente abbassato i toni nei confronti di Matteo Renzi, suggeriscono il tentativo di tessere una trama che possa definitivamente imbrigliare il segretario e costringerlo a una resa incondizionata.
Una guerra fratricida, quella che si racocconta tra due ex amici diessini, che manda in visibilio le altri componenti del partito: Veltroni osserva soddisfatto lo scontro che si è aperto all’interno della maggioranza uscita dalle primarie, e attende il momento giusto per sferrare la spallata dell’azzeramento.
Bersani ne è perfettamente consapevole e infatti sta attendendo il più possibile per ocnvocare una riunione della direzione che non più a lungo procastrinabile: il timore è che possa essere l’ultima della sua segreteria. I giorni che si guadagnano sul fronte interno, però lo logorano su quello istituzionale, dove resta comunque esposto come premier incaricato ma crioconservato.
Nel mentre domani D’Alema farà la sua apparizione sulla scena più improbabile che gli si potesse concedere: invitato dal vicesindaco di Firenze Nardella, l’ex premier sarà infatti al Sum, nella città di Renzi, per parlare di crisi delle istituzioni e della politica. Un gesto che oggi agli occhi del segretario indebolito deve apparire come aver invitato il boia sul patibolo.
L’idea che D’Alema sia disposto, e interessato, a migliorare i suoi rapporti con il rottamatore è radicata in più di un esponente del Pd. E ancor più diffuso è il sospetto che tra i giovani turchi monti l’esigenza di erigere una solida testa di ponte sulla sponda renziana, per evitare di restare mortalmente invischiati nel regolamento di conti che scuote la vecchia guardia.
I D’Alema’s brothers
Ma quelli che un tempo si chiamavano dalemiani non sono affatto tranquilli. Sanno che non basta portare D’Alema a parlar male di Bersani a Firenze per agganciarsi per tempo al prossimo carro del vincitore. Il problema è che i renziani che sono arrivati fin qui tutti soli, adesso non sono ben disposti a compromettersi, in particolare nel delicato contesto dell’imminente elezione del successore di Napolitano. E’ evidente che giocheranno la loro partita ma quel che temono i cosiddetti dalemiani, o ciò che ne resta, e che la pattuglia del sindaco decida di confluire su un candidato intorno al quale siano più sfumati i contorni dello scontro, questo per evitare il più possibile da loro qualsiasi possibile allusione a un inciucio.
Chi vuole bene a D’Alema e gli ha consigliato di accettare l’invito di Nardella a Firenze, preme quindi per rimettere usbito insieme la band delle grandi occasioni per affrontare al meglio la Corsa al Colle. Solo lunedì sera era convocata una riunione nella sede di Italiani europei proprio con questo ordine del giorno, ma poi non se n’è fatto niente perché il Capo è andato alla commemorazione di Chiaromonte.
Ma i D’Alema’s brothers sono abituati. Sanno bene che D’Alema bisogna pregarlo, anche – o forse soprattutto – quando gli si vuol fare un favore.