L’attacco finale alla legge 185 del 1990 è servito. Il governo Meloni sta portando a termine l’operazione di smantellamento di una delle poche normative italiane che imponeva limiti all’esportazione di armamenti. Il 17 febbraio la Camera voterà la modifica che renderà di fatto impossibile il controllo sulle vendite di armi verso regimi autoritari e paesi in guerra. Una vittoria per il complesso militare-industriale, una disfatta per chi crede ancora nella trasparenza e nella responsabilità politica.
Dal controllo alla deregulation: la fine della legge 185
La legge 185, nata nel 1990 grazie alla mobilitazione della società civile, ha cercato di mettere un argine al commercio indiscriminato di armi. Non un divieto assoluto, ma regole chiare: stop alle vendite verso paesi in conflitto o che violano i diritti umani, obbligo di relazioni annuali dettagliate sull’export bellico, trasparenza sulle istituzioni bancarie coinvolte. Regole che negli anni sono state aggirate in ogni modo possibile, ma che hanno comunque permesso qualche argine, come la revoca nel 2019 delle licenze di esportazione di bombe all’Arabia Saudita per il loro utilizzo nel massacro dello Yemen.
Ora il governo ha deciso che è il momento di togliere anche questi ultimi vincoli. L’operazione è iniziata con la revoca del divieto di esportazione verso Riyadh nel maggio 2023 e si è consolidata con la visita della presidente del Consiglio in Arabia Saudita a gennaio 2025, dove ha dichiarato l’intenzione di rafforzare la cooperazione strategica proprio nel settore della Difesa. Il messaggio è chiaro: l’Italia vuole ritagliarsi uno spazio di primo piano nel mercato globale delle armi.
Dietro questa manovra ci sono i colossi dell’industria bellica italiana, spalleggiati dall’Aiad, l’associazione delle aziende della difesa e dello spazio, il cui ex presidente, Guido Crosetto, oggi siede al ministero della Difesa. È la stessa Aiad che nel 2018 presentava alla Camera un rapporto in cui si esaltava il potenziale commerciale dell’Arabia Saudita, dipinta come un Paese in piena modernizzazione.
La trasparenza è un ostacolo: il business delle armi senza freni
Le modifiche alla legge 185 renderanno impossibile ricostruire i flussi di esportazione, eliminando di fatto la trasparenza sui finanziamenti delle cosiddette “banche armate”. E mentre i numeri sulle vendite di armi ai paesi extra-Nato crescono, la possibilità di un controllo parlamentare si azzera. L’obiettivo è chiaro: rimuovere ogni ostacolo per far volare le esportazioni, riducendo lo Stato a un semplice passacarte per gli interessi delle aziende del settore.
Le associazioni pacifiste e cattoliche hanno lanciato un ultimo appello alla coscienza dei parlamentari, chiedendo di fermare questa deriva. Rete Italiana Pace e Disarmo denuncia il ritorno alla logica del “se non le vendiamo noi, lo farà qualcun altro”, un alibi perfetto per chi vuole trasformare l’Italia in un hub dell’industria bellica globale. Ma il dibattito parlamentare è solo una formalità: la decisione è già presa e il futuro dell’export di armi italiane è ormai svincolato da ogni limite morale.
Mentre si celebrano messe per la pace e si ascoltano gli appelli del Papa contro la cultura della guerra, il governo italiano sta compiendo la sua scelta: allentare i freni. Con buona pace della Costituzione, della legge 185 e di chi ancora pensa che vendere strumenti di morte ai regimi non sia un orgoglio nazionale.