L’incontro c’è stato davvero ma non nella villa fiorentina di Denis Verdini e soprattutto non ha prodotto gli esiti sperati (dal Capitano). I due senatori Matteo Salvini e Matteo Renzi, in questi giorni protagonisti di retroscena giornalistici surreali che li dipingono come una sorta di Gatto e la Volpe pronti a far saltare il banco del Governo da un momento all’altro, si sono visti, a quattr’occhi, in una sede ben più istituzionale: in una stanza al Senato. Non hanno sorseggiato Chianti e non hanno stretto nessun patto. Si è parlato di rivedere la legge elettorale, questo sì, e anche che il leader della Lega abbia proposto al suo omonimo un accordo per riformarla in senso proporzionale con uno sbarramento molto basso proprio per favorire Italia Viva, che per ora non decolla nei sondaggi, corrisponde a verità.
Offerta allettante (secondo Salvini) ma rimandata al mittente: la contropartita sarebbe stata quella di staccare la spina al Governo Conte 2 e Renzi al momento non ne ha proprio intenzione e neppure convenienza. Va letta in questo senso anche l’incomprensibile proposta salviniana di un governo bipartisan, una specie di Comitato di salvezza nazionale con tutti dentro per poi andare al voto. Un’idea e un terminologia che sa tanto di “Giunta di Salvezza Nazionale” cioè il comitato di ufficiali delle Forze Armate Portoghesi scelto per governare il Portogallo nell’aprile 1974, immediatamente dopo la Rivoluzione dei Garofani che aveva rovesciato il regime autoritario dell’Estado Novo. Con la differenza che nel nostro paese non c’è nessun regime autoritario ma un governo nella piena legittimità delle sue funzioni. E che invece di generali e colonnelli, nello scenario prospettato da Salvini e dal suo numero due Giancarlo Giorgetti, alla guida di questo esecutivo ci sarebbe dovuto essere qualcuno “che ha fatto bene in Europa”, cioè Mario Draghi.
Non a caso nessuno, né nella maggioranza giallorossa né tantomeno fra i suoi alleati ha mostrato di condividere l’ideona salviniana, anzi durissima è stata Giorgia Meloni che l’ha bollata come una “proposta irricevibile” per due ordini di ragioni, la prima politica: “Ma basta con governi nati in laboratorio: se Draghi vuole fare il premier si candidi, e se vince farà il premier. Qualunque altra ipotesi per me non esiste”, ha chiosato la leader di FdI. La seconda di opportunità e fair play fra alleati: “Prima doveva parlarcene – ha affermato – mi sembra un modo alquanto strano per tenere i rapporti nella propria coalizione”-. La terza, aggiungiamo noi, è una ragione di coerenza, la Lega sta raccogliendo le firme per abolire la quota proporzionale quindi appare quantomeno contraddittorio proporre a Renzi una legge proporzionale, per non parlare della svolta pro Draghi del leader del Carroccio: “Non mi piacciono i burocrati europei, ma Draghi da presidente della Bce si è impegnato per l’Italia, gli italiani e i loro risparmi”, ha dichiarato qualche giorno fa.
Ergo: ora vanno bene anche i “burocrati” osteggiati e denigrati fino a ieri. Ma del resto anche sulla partita delle Regionali le incoerenze e il doppiopesismo regnano sovrani: nessun indagato o riciclato – principio anche sacrosanto, per carità – ma vale solo per Fratelli d’Italia e Forza Italia con i quali una quadra sui candidatio è ancora lontana sia in Calabria dove si vota il 26 gennaio ma anche in Puglia, dove appunto Raffaele Fitto, probabile nome indicato dalla Meloni è ritenuto un “riciclato”. Altra questione irrisolta, la Toscana: sembra che il nome che ha in mente Salvini – quello del sindaco di Grossetto Antonfrancesco Vivarelli Colonna non raccolga l’entusiasmo del diretto interessato.