C’è da scommettere che qualcuno proverà a strumentalizzare la richiesta del consigliere Nino Di Matteo (nella foto) di far slittare il ritorno in servizio di Fulvio Baldi, l’ex capo di gabinetto di Alfonso Bonafede. Peccato che farlo sarebbe una falsità perché nella mossa del magistrato non c’è alcuna intenzione di rivalsa a seguito delle polemiche con il guardasigilli quanto, semmai, la constatazione che le intercettazioni, non penalmente rilevanti, che hanno travolto Baldi non possono essere ignorate. Insomma lo stop, per giunta di ventiquattr’ore perché già nel pomeriggio si aggiornerà il plenum del Consiglio superiore della magistratura, è un atto dovuto, specie in un momento di tribolazioni per le toghe italiane.
A mettere fine ad ogni possibile polemica è stato lo stesso Di Matteo che, parlando al plenum, ha spiegato: “Abbiamo appreso da conversazioni del dottor Fulvio Baldi, nelle quali si fa riferimento alla scelta di dirigenti da collocare fuori ruolo, che venivano seguiti criteri derivanti dall’appartenenza correntizia”. Per questo “sulle conseguenze di un suo ricollocamento presso la Procura generale della Cassazione”, “a mio avviso serve una riflessione sul dato normativo e sulla inevitabilità di questo ricollocamento in ruolo proprio alla procura generale della Cassazione, ufficio titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati”.
INTRALLAZZI NON RIUSCITI. Insomma un punto di vista più che legittimo e che, com’è evidente che sia, non ha nulla a che spartire con la diatriba, scoppiata in diretta tv, con il guardasigilli. Del resto Baldi, dopo essersi dimesso da capo di gabinetto del ministro, ha subito chiesto di rientrare nello stesso ruolo che ricopriva prima di andare al ministero ossia quello di sostituto procuratore generale alla procura generale della Cassazione. Un ruolo delicato nel panorama delle toghe che secondo alcuni potrebbe non essere giustificabile alla luce delle conversazioni dell’aprile 2018, pubblicate nei giorni scorsi, in cui il pm Luca Palamara lo chiama amichevolmente “Fulvietto” e gli gira nomi di magistrate da piazzare nei ministeri. Richieste che Baldi non declina affatto: “Te la porto qua stai tranquillo, perché è una considerazione che ho per te, un affetto che ho per te e lo meriti tutto” e ancora “se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”.
Conversazioni tra amici che non sono affatto casuali perché seguono il voto di marzo quando Bonafede diventa guardasigilli e deve costituire al ministero il proprio staff. In questa congiuntura astrale, Palamara chiama Baldi chiedendo di portare al ministero Katia Marino, un pubblico ministero di Modena. L’ex capo gabinetto di Bonafede è interessato e dice di aver già parlato con Mauro Vitiello, capo dell’ufficio legislativo: “Ho passato il nome, vediamo che cazzo succede, prima o poi te la porto qua”. Ma piazzare la donna diventa impossibile perché “Vitiello ha sentito la ragazza ma non l’ha presa con sé” e per giunta avrebbe detto a Baldi “prenditela tu”.
Una soluzione impraticabile perché l’ex capogabinetto ha già completato l’organigramma della propria squadra e così paventa possibili soluzioni alternative: “Abbiamo varie strade. Abbiamo l’Ispettorato, abbiamo il Dap, ma la strada più praticabile a questo punto è dal 6 maggio la Casola che prende possesso al Dag. È qui già dal 7 maggio la Casola e può far partire la richiesta insomma”. Visto il precedente fallimento, Palamara è scettico e chiede: “Ma se la prende lei o no?”. E Baldi replica: “Eh beh, ma la Casola è nostra ragazzi, gliela indichiamo noi che cazzo, e allora che cazzo piazziamo a fare i nostri?”.