Molto spesso, i numeri che rimangono maggiormente impressi nella memoria di noi europei sono quelli legati alla disoccupazione, alla crescita del PIL, all’inflazione o ai consumi. Da ieri sera non sarà più così. I numeri che emergono dalla tragica notte di Parigi sono infatti indicatori di qualcosa particolarmente importante. 128 morti e più di 250 feriti sono cifre che fanno tremare le gambe ad un cittadino europeo abituato ad associare tali numeri a contesti regionali in cui la guerra è divenuta ormai una questione di routine. Eppure, tralasciando per un attimo l’aspetto emozionale e ragionando in modo analitico, il numero che fa più impressione è il 7.
7 come le azioni coordinate che hanno scosso l’intera Europa e i suoi partners nell’arco di pochissime ore la scorsa notte. Questo dimostra come la capacità di determinati soggetti ed entità di organizzarsi ed agire sui nostri territori sia assolutamente elevata. Nonostante gli sforzi compiuti dalle forze di polizia europee, impegnate senza sosta nell’attività di prevenzione e repressione di certi fenomeni, appare chiaro come, per l’ennesima volta, il sistema di sicurezza non abbia funzionato.
Dico questo perché una serie di azioni combinate come quelle verificatesi ieri sera, in cui sono state impiegate diverse tecniche tra cui l’assalto armato, l’utilizzo di esplosivi e la presa di ostaggi, non si organizzano dalla mattina alla sera. Vi è un ciclo di passaggi che debbono essere effettuati per realizzare un attacco di quella portata. Un ciclo terroristico in cui il coordinamento tra i vari soggetti coinvolti ad ogni titolo funziona come un ingranaggio ben oliato e manutenuto. Ed è proprio lungo questo percorso che le forze di sicurezza dovrebbero intervenire, interrompendo, attraverso un articolato lavoro di analisi, monitoraggio e confronti, il piano terroristico prima che venga posto in essere.
Qualunque cosa ci si proponga di fare dopo sarà irrilevante. I morti non torneranno in vita.
Siamo nel mezzo di un conflitto non convenzionale nel quale soggetti addestrati in teatri operativi sono poi inviati sui territori europei per compiere azioni devastanti o, addirittura, vengono radicalizzati e addestrati direttamente sui nostri suoli attraverso internet o nelle nostre carceri. La comunità di sicurezza tutta deve rendersi conto che networks quali ISIS e Al Qaeda hanno acquisito quella che, prendendo in prestito un termine dalla terminologia militare, è definibile come capacità expeditionary, ossia l’abilità di agire fuori dal proprio ambiente operativo per mezzo di soggetti preparati e organizzati.
Nonostante i diversi successi ottenuti dalle forze di polizia nazionali ed europee appare chiaro che il metodo contenitivo utilizzato fin’ora non rappresenta più lo strumento giusto per affrontare un fenomeno di questa portata.
Abbiamo creato organismi per realizzare quella che viene definita come intelligence sharing i quali non possono permettersi di non funzionare o funzionare a metà. Il coordinamento europeo ed occidentale deve avvenire su questo come su tutti gli altri fronti. Politico, economico e militare. Attraverso una coerente e condivisa strategia (non tattica, ma strategia, quindi a lungo termine) politica; attraverso una concertata azione di contrasto dei flussi finanziari diretti verso soggetti ed entità coinvolti con organizzazioni poco trasparenti; ed infine mediante un impegno militare per il quale venga definito, in origine, un end state e le modalità operative, nonché le tempistiche, per realizzarlo.
Solo in questo modo possiamo sperare di contenere i danni di quella che, a causa della sua imprevedibilità, rappresenta attualmente una delle emergenze più preoccupanti per l’intera umanità.