E adesso che, con i discorsi e le repliche, la premier Giorgia Meloni ha sciorinato per lungo e per largo i manifesti politici ed economici di governo della destra, toccherà passare dalle parole ai fatti e mettere a terra i provvedimenti attesi. A partire da quelli contro il caro-energia e la manovra.
Draghi ha lasciato in dote un tesoretto di 10 miliardi. Ma solo per sforbiciare le bollette ne servono 20
I tempi sono stretti: la legge di bilancio dovrà essere preceduta dall’aggiornamento della Nadef e del Dpb con il quadro programmatico per il prossimo anno che, secondo quanto si apprende, potrebbe vedere la luce entro le prossime due settimane. La presidente del consiglio ha avuto ieri una giornata di riunioni a Palazzo Chigi, prima con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e poi anche col titolare degli Affari europei (con delega sul Pnrr) Raffaele Fitto e il responsabile economico di FdI, Maurizio Leo.
Serve un altro decreto per contrastare il caro-bollette e ci vorranno circa 20 miliardi
E già, perché di qui a fine anno si dovrà lavorare pancia a terra anche sul Pnrr: le spese entro il 2022 sono a meno della metà e bisogna accelerare, indica Meloni, confermando la volontà di modificarlo, alla luce del nuovo contesto. Ma prima ancora della legge di bilancio, che va approvata entro il 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio, bisogna mettere mani a un decreto volto a contrastare il caro-bollette. “Gli interventi di calmierazione delle bollette per famiglie e imprese rimangano prioritari”, ha ribadito Giorgetti.
Il provvedimento drenerà, con tutta probabilità, gran parte delle risorse reperibili per la prossima legge di bilancio. A dettare i tempi del nuovo decreto è la necessità di evitare che si esauriscano gli ultimi aiuti varati dal governo uscente. Il credito di imposta per le imprese energivore, introdotto dal decreto aiuti Ter, si esaurirà a novembre. Mentre il taglio di 30 centesimi sulle accise della benzina è in vigore fino al 18 del mese prossimo. Il governo deve dunque ingegnarsi per prorogare questi aiuti e garantire le tutele almeno fino alla fine dell’anno.
Si stima che per fare questa operazione ci vorranno circa 20 miliardi. Per coprire questa emergenza si punta ad usare tutte le risorse a disposizione in questa fase. Per questo provvedimento, in particolare, le risorse dovrebbero arrivare dal ‘tesoretto’ lasciato dal governo Draghi, ovvero il differenziale tra deficit autorizzato nel Def e quello tendenziale previsto nella Nadef: i calcoli sono ancora in corso, anche alla luce del nuovo contesto di prezzi energetici, ma si parla di una cifra compresa tra 7,5 e 9,6 miliardi.
Per poter usare le risorse, però, serve l’autorizzazione del Parlamento all’aggiustamento di bilancio: passaggio che potrebbe essere fatto nei primi 10-12 giorni di novembre, così da poter portare il decreto in Consiglio dei ministri entro metà mese. Ma il capitolo bollette-carburante richiederà un impegno finanziario “imponente” anche nella legge di bilancio, ha assicurato la neo premier, chiarendo che le risorse verranno cercate nelle “pieghe del bilancio” e nei ricavi dello Stato.
Ma anche dagli extraprofitti: norma che la premier considera “da riscrivere” e che quindi potrebbe subire modifiche. Nessuna possibilità a oggi, lo ha ribadito il ministro dell’Industria Adolfo Urso, per lo scostamento di bilancio. Ma la coperta è corta e scovare le risorse non sarà semplice. L’altra grande emergenza che la manovra dovrà affrontare è l’impennata dell’inflazione, contro la quale si stanno studiando misure per accrescere il reddito disponibile delle famiglie, dall’innalzamento della soglia di esenzione dei fringe benefit all’estensione dei beni primari con l’Iva ridotta al 5%.
Nella legge di bilancio si andrà avanti anche con il taglio del cuneo fiscale, che verrà riproposto almeno nella versione introdotta dal governo Draghi (2 punti in meno), mentre l’obiettivo di medio termine – ribadisce Meloni, che ha scartato l’idea del salario minimo – è di arrivare progressivamente a ridurlo di 5 punti. Sul capitolo pensioni è sicuro che ci sarà un intervento per evitare lo scalone al primo gennaio 2023, ma il lavoro è ancora tutto in itinere, con diverse opzioni allo studio.
Una è sicuramente quella su cui spinge la Lega, che pensa ad una quota 41 magari da 61-62 anni: proposta su cui lavorano i tecnici del partito che ipotizzano di recuperare risorse – ha spiegato il leader Matteo Salvini – attraverso una revisione del reddito di cittadinanza, mettendo “un periodo di pausa”.
Si parte dalla tregua fiscale. L’ipotesi è una nuova rottamazione con un forfait del 5%
Il capitolo fiscale è già ricco. Si parte dalla tregua fiscale. L’ipotesi è una nuova rottamazione con un forfait del 5% su sanzioni e interessi e un piano di pagamenti in 5 anni. Si ragiona anche su un possibile stralcio, ovvero condono, per le cartelle fino a mille euro. Intervento che libererebbe nel tempo nuove risorse e che potrebbe arrivare con il decreto fiscale collegato alla manovra.
E poi c’è la flat tax nella versione meloniana ovvero “incrementale”, cioè una tassa piatta del 15% sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente “Una misura virtuosa, con limitato impatto per le casse dello Stato, che può essere un forte incentivo alla crescita”, ha dichiarato la premier.
In manovra ha assicurato il meloniano Giovanbattista Fazzolari sarà alzato il tetto all’uso del contante attualmente a 2000 euro, ma che, se non si intervenisse, dal prossimo anno scenderebbe a 1000 euro. Ma tra gli alleati non pare esserci accordo. Se la Lega ha presentato una proposta per portarlo a 10mila euro, Forza Italia frena.
“Il tetto sul contante non è una priorità del governo e lo dimostra il fatto che il presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico non ne ha fatto menzione. Successivamente, in sede di replica, ha semplicemente risposto alla sollecitazione di una richiesta giunta dall’opposizione sulla proposta di legge della Lega”, dichiara il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, di Forza Italia.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, conferma che alzare il tetto al contante è un “principio sacrosanto” che verrà realizzato ma alla domanda su quale soglia verrà deciso l’innalzamento, Ciriani ha risposto: “Noi nella scorsa legislatura avevamo proposto 5 mila. Parliamo di piccole transizioni, vedremo se 2 mila, 3 mila o 5 mila euro”.