Dal 1986 a oggi due Commissioni ad hoc e otto tra commissari e subcommissari rivelatisi del tutto inutili. Trent’anni di spending review fallimentare

di Stefano Sansonetti

Trent’anni di Commissioni tecniche e cinque anni di Commissari alla cosiddetta “spending review”. Una storia a dir poco improduttiva, senza distinzioni tra destra e sinistra, nata addirittura nel lontano 1986. In quell’anno al ministero del Tesoro viene istituita la “Commissione tecnica per la spesa pubblica”, che rimarrà in vita fino al 2005. Poco tempo dopo viene sostituita dalla “Commissione tecnica per la finanza pubblica”, più o meno la stessa cosa. Poi si arriva al 2011, governo di Mario Monti. Da quell’anno si alternano ben 8 tra commissari e subcommissari a quella che nel frattempo viene pomposamente chiamata “spending review”. Un maquillage puramente terminologico, all’esito del quale è possibile trarre solo una conclusione: Commissioni tecniche e Commissari alla revisione della spesa in Italia non servono a niente, se non ai governi di turno che a parole vogliono dimostrare di voler affrontare il problema.

L’ABBANDONO
Rebus sic stantibus, sorprendono le fresche dimissioni di Roberto Perotti, l’economista bocconiano a cui il premier Matteo Renzi aveva affidato il compito di aiutare l’attuale commissario Yoram Gutgeld a realizzare l’ormai sempre più strombazzata “spending review”. Possibile che Perotti, fuggito perché il suo lavoro non gli sembrava più utile, non si fosse accorto di quello che in Italia è accaduto dal 1986? In quell’anno, come detto, nasce la Commissione tecnica per la spesa pubblica. Il nome scelto fa capire che già in quel frangente il problema delle galoppanti spese dello Stato è molto avvertito. E chi viene messo a capo della Commissione? Piero Giarda, successivamente ministro di quel Governo Monti che per primo ha nominato un Commissario alla spending review nella persona di Enrico Bondi, poi sostituito dallo stesso Giarda. Corsi e ricorsi, di facce e di temi. Già negli anni 90’, per dire, la Commissione Giarda riflette su come sia inammissibile che una siringa costi “tot” lire in una regione e magari il doppio in un’altra. Passano circa trent’anni, arriva l’euro, e ancora oggi si parla di imminente debutto dei “costi standard”, ossia di quei parametri virtuosi di prezzo a cui tutte le regioni dovrebbero adeguarsi. Ancora aspettiamo. Negli anni, al vertice della Commissione tecnica per la spesa pubblica si succedono fior di economisti, da Giuseppe Vitaletti ad Alessandro Petretto e Gilberto Muraro. Quest’ultimo viene scelto dall’allora ministro dell’economia, Tommaso Padoa-Schioppa, per guidare la successiva Commissione tecnica per la finanza pubblica, che sempre di controllo della spessa dovrebbe occuparsi.

GLI ALTRI
In quest’ultima commissione (successivamente archiviata) c’è anche Giuseppe Pisauro, che non soltanto aveva fatto parte della precedente commissione Giarda, ma che oggi ritroviamo a capo dell’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio), Autorità di controllo delle previsioni macroeconomiche del governo. Ancora corsi e ricorsi, a dimostrare che le soluzioni per il taglio della spesa ci sono, basta volerle politicamente applicare. Poi arriviamo al 2011, con il Governo Monti che nomina Bondi commissario alla spending review, affiancato da Francesco Giavazzi e Giuliano Amato per quel che riguarda le proposte sui tagli alle agevolazioni fiscali e ai contributi pubblici. A Bondi succede Giarda, il quale viene sostituito a gennaio 2013 da Mario Canzio, in quel momento Ragioniere generale dello Stato. Con il Governo di Enrico Letta è il momento di Carlo Cottarelli, che però viene liquidato da Renzi prima del tempo. L’attuale premier gli preferisce Gutgeld, al quale affianca Perotti. I due lavorano a risparmi di spesa per 10 miliardi nel 2016, ma alla fine la legge di Stabilità ne porta in dote solo 6. L’economista bocconiano non ci sta e sbatte la porta. Ma la storia degli ultimi 30 anni è stata sin troppo chiara.

Twitter: @SSansonetti