Era l’interrogatorio più atteso. Quello che molto probabilmente deciderà il futuro della giunta regionale. Parliamo del faccia a faccia tra il presidente ligure Giovanni Toti, ai domiciliari dal 7 maggio per corruzione e falso, e i tre pubblici ministeri che seguono la maxi-inchiesta sulla Tangentopoli genovese: Federico Manotti e Luca Monteverde, con l’aggiunto Vittorio Ranieri Miniati.
E infatti è stato un interrogatorio fiume. Iniziato alle 11 di ieri, si è protratto fino alle 19,30. Oltre otto ore di confronto, chiusi nella caserma della Gdf del Porto di Genova, a poche centinaia di metri dal Terminal Rinfuse, al centro dell’inchiesta. Si erano preparati centinaia di domande i tre inquirenti sul mare di finanziamenti ricevuti da Toti, non solo dal grande pagatore, l’imprenditore Aldo Spinelli, ma anche dall’ex consigliere del cda di Esselunga Francesco Moncada, dal re delle discariche Pietro Colucci e da altri imprenditori.
A Toti oltre 180 domande in otto ore
In agenda anche i quesiti, pesanti, sul presunto voto di scambio. Toti avrebbe risposto “a tutte le 180 domande che gli hanno posto”, ha detto il suo legale Stefano Savi, ricostruendo e spiegando ogni transazione. Cosa che invece si era rifiutato di fare davanti al Gip, quando si era avvalso della facoltà di non rispondere.
“Se revocano gli arresti domiciliari, si andrebbe nella direzione della permanenza di Toti alla Presidenza della Regione Liguria”, ha detto ieri il leader di FI, Antonio Tajani, “dipende da Toti e dalle decisioni della magistratura”. Asserzione scivolosa, visto che per i magistrati l’audizione serve per chiarire i molti punti oscuri. E difficilmente potrà portare alla liberazione. Il presidente ‘sospeso’ non si è appellato al Riesame per chiedere un’attenuazione della misura cautelare, dopo l’interrogatorio potrà chiedere al gip la revoca o l’attenuazione della misura. Se il gip dovesse respingere la richiesta di revoca, come è accaduto con Moncada, potrebbe presentare un appello al Tribunale della libertà. Tempi lunghi.
La (non) cerimonia della Diga
Intanto la politica genovese vive – o sopravvive – in una bolla irreale. Per capire l’assurdità della situazione, oggi verrà posato il primo cassone della Diga Foranea. Nei piani del governo doveva essere, prima della deflagrazione dell’inchiesta, un grande evento mediatico. Invece si ridurrà a una cerimonia in tono minore. Il primo intervento sarà del commissario straordinario dell’Authority del Porto, Paolo Piacenza, indagato per abuso d’ufficio nell’inchiesta che ha portato in carcere anche l’ex presidente dell’autorità, Paolo Emilio Signorini.
Poi parlerà il sindaco Marco Bucci, commissario per la Diga e il tunnel subportuale, principale sostenitore di quelle grandi opere al centro delle indagini. Quindi l’intervento del governatore ad interim Alessandro Piana e di Edoardo Rixi. Chiusura per Matteo Salvini. L’ordine per tutti è niente interviste. Solo dichiarazioni.
Sullo sfondo resteranno comunque i rilievi dell’Anac sulla assegnazione degli appalti per l’opera da 1,3 miliardi; gli allarmi dei tecnici sui ritardi per i lavori; quel mutuo da 57 milioni votato dalla Regione tra le polemiche.
Il centrodestra vota contro Anac e Libera
Polemiche continuate anche ieri, dopo il voto contrario della maggioranza di centrodestra all’audizione di Anac e Libera nella Commissione antimafia del Consiglio regionale. “Come pensano di governare se non sanno affrontare temi come la legalità e la trasparenza? Si dimettano”, ha detto il capogruppo Pd, Luca Garibaldi. “Quanto avvenuto oggi (ieri, ndr) in Commissione Antimafia regionale rappresenta, al massimo grado, l’immagine della crisi e dell’implosione di tutto il centrodestra, nessuno escluso”, ha aggiunto. Le audizioni si svolgeranno comunque, perché bastava un terzo dei voti, che è stato raggiunto grazie al voto favorevole di Pd, Lista Sansa, M5S e Linea Condivisa.