Migranti, migranti e ancora migranti. I governi si susseguono e il problema della gestione dei flussi migratori irregolari per un paese “frontaliero” come l’Italia resta e tende generalmente ad aggravarsi con l’arrivo della bella stagione.
Migranti, migranti e ancora migranti. Ma chi in campagna elettorale voleva il blocco navale ora chiede più flussi
In queste ore al centro dell’attenzione l’Ocean Viking mentre ancora si contato i morti in mare della strage di Cutro e così, mossi dalla triste cronaca, ci ritroviamo sempre a discutere di “Trattato di Dublino”, redistribuzione delle quote, snellimento delle procedure per i rimpatri. Tutto ciò senza che cambi mai davvero nulla. È evidente che la Meloni non possa risolvere con un batter di ciglia quello che non è stato risolto in decenni, ma è altrettanto vero che non le si possono perdonare errori e temporeggiamenti sul tema.
Quando sedeva ai banchi dell’opposizione, Meloni ha costruito la sua retorica populista sull’asse portante della lotta alle politiche migratorie promosse dal governo
Quando sedeva ai banchi dell’opposizione, Giorgia ha costruito la sua retorica populista sull’asse portante della lotta alle politiche migratorie promosse dal governo, accentuando i toni incendiari durante la campagna elettorale condita dalla velleità di chi non ha fatto ancora i conti con le reali difficoltà del governare. Diventa così vitale per la credibilità della premier e del suo esecutivo mostrarsi all’altezza della sfida cercando di nascondere il più possibile al proprio elettorato, gli altri cittadini lo hanno già ben chiaro, l’uso strumentale delle problematiche migratorie per produrre consenso. Le recenti dichiarazioni del ministro Lollobrigida sono ulteriore prova di ciò.
I dati ci descrivono la significativa carenza di lavoratori nel settore agrario e il “decreto flussi” – che ha dato vita al “click day” del 27 marzo – nasce con lo scopo di regolamentare e velocizzare le procedure affinché quote di migranti prestabilite possano accedere nel nostro paese con il fine di occupare queste posizioni lavorative. Tutto positivo se non fosse che il numero consentito di stranieri autorizzati ad accedere sia stato drammaticamente basso, in 24 ore sono state presentate almeno il triplo delle domande rispetto all’offerta, scontentando così molti imprenditori, e che il ministro dell’Agricoltura abbia approfittato dell’occasione per sostenere che la carenza di manodopera sia generata dal Reddito di cittadinanza.
Gli amanti della vita sul divano che rifiutano il lavoro nei campi disprezzandolo e auspicando che arrivino i lavoratori di “serie b”, gli schiavi, da altri paesi. Insomma, la ricetta perfetta per accendere il conflitto tra le classi più disagiate. Non una riflessione sulle condizioni del lavoro in Italia e sulla piaga sociale dei “working poors” ovvero chi lavora ed è povero. Liquidato il “salario minimo” che invece ci metterebbe al passo con gli altri paesi europei, ci viene raccontato che a bastare sarebbero i CCNL ignorando bellamente come questi – che pure coprono formalmente un numero ragguardevole di professioni – non siano obbligatori; non vengano stipulati dalle sigle maggiormente rappresentative dando vita ai cosiddetti “contratti pirata” e ci vedano al di sotto della soglia di povertà. Se poi pensiamo all’impennata dell’inflazione, è facile comprendere come lavorare in Italia non sia garanzia di emancipazione dall’indigenza.
Quindi prima di usare strumentalmente i migranti per dire quanto i precettori del Reddito di cittadinanza non sposino la “cultura del sacrificio” occorrerebbe a questo governo leggere la Costituzione e capire come il lavoro debba essere indissolubilmente legato al concetto di dignità.