Nel suo debutto al primo giorno del Consiglio europeo, che si è svolto ieri in videoconferenza, il premier Mario Draghi ha subito chiarito la linea, improntata al massimo rigore: “accelerazione” sulle vaccinazioni, con una azione coordinata a livello europeo rapida e trasparente, approccio comune sui test e nessuna “scusa” per le aziende farmaceutiche che non rispettano gli impegni presi.
E, pur esprimendo il sostegno italiano al progetto Covax per condividere il vaccino anti-Covid con i Paesi a basso reddito, ha fatto notare che non è il momento di fare donazioni: è una questione di credibilità nei confronti dei cittadini europei, visti i ritardi nelle vaccinazioni e i problemi con le forniture. Richiamando gli esempi di Regno Unito e Stati Uniti, che trattengono sul territorio i vaccini, il capo del governo avrebbe suggerito all’Europa di fare altrettanto, invitando anche a guardare ad altre produzioni al di fuori dell’Ue.
Già nei giorni scorsi l’ex numero uno della Bce aveva avuto modo di confrontarsi con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e con la cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre poco prima dell’inizio del vertice ha avuto una conversazione telefonica con il presidente francese Emmanuel Macron. L’intento è chiaro: l’approccio comune deve essere reale e non solo sulla carta, la risposta alla pandemia deve essere europea e, dunque nel prendere la parola, ieri Draghi è andato dritto al punto.
Siamo troppo lenti – perché le varianti sono più veloci delle consegne delle dosi da parte di Big Pharma – e il cambio di passo è necessario. Alla luce della recente letteratura scientifica, ha però osservato il premier, dare priorità alle prime dosi può essere una soluzione per arginare il correre dell’epidemia ma ciò ovviamente non può essere un alibi per le aziende farmaceutiche produttrici del vaccino che ieri sono state audite dalle commissioni Envi e Itre del Parlamento europeo, provando a motivare i tagli e i ritardi delle forniture stabilite dai contratti firmati con l’Unione europea.
“Stiamo imparando dagli errori e migliorando col tempo la produzione – ha tentato di spiegare il Ceo di Moderna, Stephane Bancel – I rallentamenti spesso sono dovuti a errori umani o a gestione delle tecnologie, entrambe le cose normali nell’industria”. Pascal Soriot, Ceo di AstraZeneca, ha invece provato a rassicurare gli europarlamentari nelle commissioni: “Diamo la nostra parola che rispetteremo gli accordi presi con l’Ue”.
Ma il presidente dell’Europarlamento David Sassoli ha comunque sottolineato come “Le case farmaceutiche dovrebbero in ogni caso onorare i loro obblighi contrattuali”, in piena sintonia, dunque, con quanto affermato dal premier italiano: non ci possono essere scusanti. Altro tema sul tavolo dei 27, la necessità di un bilanciamento tra le misure restrittive sui viaggi intra-Ue, la tutela della salute pubblica e la protezione del funzionamento del mercato interno: a tal proposito Macron ha sottolineato come occorra “lavorare a una certificazione vaccinale comune”.
L’argomento ha trovato una sostanziale convergenza fra i leader ma, come annunciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ci vorranno tre mesi per lo sviluppo tecnico di un sistema digitale interoperabile europeo. Bruxelles continuerà a dialogare con i governi per “progredire in questa direzione entro marzo”, ha spiegato la leader Ue, sottolineando che “il dibattito dovrà tenere conto del rischio di discriminazioni” e, al contempo, del fatto che “per molti Paesi Ue il turismo è estremamente importante dal punto di vista economico e sociale”.