Dopo trent’anni da Tangentopoli, è in corso la riforma della giustizia. Professore Giulio Cavalli, stiamo assistendo alla vendetta della politica sui pm?
“Se è una vendetta, è risibile e spuntata. Parliamo di un referendum che già nel metodo è piuttosto debole perché passa con il voto degli otto consigli regionali, tutti di centrodestra, e dobbiamo sentire Salvini e i Radicali che ci dicono di aver avuto 775mila firme che nessuno di noi ha mai visto perché non le hanno depositate. Inoltre in nome del garantismo si è cercato di normalizzare, se non addirittura nobilitare, una certa intenzione di impunità che era già presente ai tempi del berlusconismo ma che ora si è affinata perché ha trovato dei narratori molto più fini rispetto a Berlusconi. Certo fa sorridere che la politica pensi a questa ripicca, lasciando perdere temi più urgenti e sentiti come dimostrano 2 milioni di firme raccolte per l’Eutanasia e per la depenalizzazione della Cannabis. È l’ennesimo esempio dello scollamento che c’è tra le classi dirigenti e i cittadini”.
Che la riforma della Giustizia serva, lo dicono tutti. Ma è questo il modo giusto per portarla a casa?
“È impensabile anche solo proporre una riforma della giustizia che passi da un referendum e quindi dagli intestini popolari. Una riforma seria ha bisogno di leader politici autorevoli che oggi non abbiamo. Come si fa a discutere della legge Severino se il quesito viene sostenuto da un partito guidato da un condannato che ha subito sulla sua pelle gli effetti di quella norma? E ha ben poco senso mettere insieme le motivazioni di Forza Italia, quasi sempre a difesa del proprio leader, con quelle molto più strutturate dell’Anci. Ma c’è anche un aspetto sostanziale che a molti sfugge: questo referendum non raggiungerà il quorum e Salvini non ha il coraggio di dirlo. Tra l’altro ha commesso un grave errore nel demonizzare il quesito sulla liberalizzazione delle droghe leggere perché sarebbe stato l’unico traino per rendere appetibili anche i suoi referendum”.
Ammesso anche il quesito sulla separazione delle carriere dei magistrati che è da sempre un cavallo di battaglia di Berlusconi. Che ne pensa?
“La separazione delle carriere dei magistrati è semplicemente il titolo che hanno messo al quesito. È l’equivalente delle etichette che si trovano al mercato per vendere un prodotto tarocco. La realtà è che il quesito mira a vincolare, come già avviene, i passaggi dall’una all’altra categoria. Per di più per la separazione delle carriere non basta un referendum perché andrebbe modificata la Costituzione dove si legge che esiste un solo ordine giudiziario. Poi me lo lasci dire, il quesito è molto lungo e poco chiaro tanto che a me fa pensare che si tratti di un rimedio omeopatico”.
Tra i quesiti approvati c’è quello sulle misure cautelari che per molti è un regalo ai colletti bianchi. È davvero così?
“Quando togli il rischio di reiterazione del reato come ragione valida per la custodia cautelare, restano solamente il pericolo di fuga e l’inquinamento probatorio. Ma il primo è disarticolabile togliendo i documenti per l’espatrio mentre il secondo è estremamente difficile da dimostrare. Stando così le cose è un regalo ai colletti bianchi e anche ai piccoli criminali, tant’è che risulta quasi una statista la Meloni che l’ha fatto notare. Vede l’equilibrio tra garantismo e giustizialismo non si risolve pensando che la lunghezza delle custodie cautelari sia figlia di uno spirito vendicativo dei magistrati quando, invece, dipende da un intasamento volontario del sistema giudiziario italiano lasciato sguarnito di soldi e personale”.
Ammissibile anche il referendum per abrogare la legge Severino…
“Il punto è che la legge Severino parla di specifiche categorie di condanne. Proprio quelle che riguardano troppi nostri politici anche se nel dibattito parlamentare quasi nessuno lo dice. C’è invece un aspetto su cui bisogna ragionare, come dice l’Anci, ovvero il fatto che molto spesso dei sindaci vengono sospesi per fatti che poi li vedono assolti. Eppure anche considerando ciò, abrogare la Severino per tutelare i sindaci resta una follia”.
Dopo la bocciatura del referendum sull’Eutanasia, la politica si indigna. Eppure per decenni non ha mosso un dito. Che ne pensa?
“Questo è il loro solito giochetto che li vede impegnati a fare una narrazione pubblicitaria rispetto al tanto sbandierato riformismo. Guardi rimango molto deluso da chi, come Enrico Letta, ci vuole far credere che questo Parlamento da domani potrà risolvere la questione perché è lo stesso che ha fallito sul ddl Zan. Purtroppo la realtà è che siamo un Paese cristiano nella pratica dei valori e troppo cattolico, invece, nella burocrazia istituzionale”.