La metamorfosi di Giorgia Meloni è compiuta. Ma non parliamo di quella personale e umana, con la separazione dal compagno Andrea Giambruno. Ma di quella che si sta compiendo in Europa col progressivo distacco dagli amici sovranisti e il sempre più vicino sostegno alla cosiddetta maggioranza Ursula che, con i socialisti e sotto l’egida dei Popolari europei, intende confermare von der Leyen alla guida della Commissione europea.
A farsi portavoce di questa metamorfosi è stato ieri Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia. “Un bis della von der Leyen? Sicuramente si sta comportando molto bene nei confronti dell’Italia”, ha detto il fedelissimo meloniano, per ora “abbiamo avuto un buon asse con i popolari in Europa”.
E ancora più chiaramente la presa di distanza dai sovranisti è evidente in un’altra sua dichiarazione: “Certamente abbiamo buoni rapporti con Orbán ma non è mai stato nel gruppo dei conservatori europei. Tante volte votiamo diversamente”.
Da sovranisti a partito di sistema: le ragioni della metamorfosi
A determinare questa metamorfosi è stato il doppio flop della destra di Vox in Spagna (a luglio) e del crollo del Pis di Jaroslw Kaczynski in Polonia. I Conservatori e Riformisti dopo Vox dunque hanno dovuto prendere atto del tracollo del Pis, uno dei fondatori della famiglia europea di cui Meloni è presidente.
E la premier, con Mateusz Morawiecki non più al governo, nei prossimi mesi potrebbe trovarsi di fronte a un bivio: avvicinarsi al Ppe, e quindi alla maggioranza, o restare al fianco dell’alleato polacco. Ma da quello che lascia intendere Donzelli avrebbe già deciso. L’orientamento sarebbe quello di sostenere il bis di Ursula.
Non saranno, comunque, scelte semplici. Morawiecki e il suo Pis erano e restano uno dei principali ostacoli ad un’alleanza post-elettorale tra FdI e il centro-destra. Nessuno, nel Ppe, avrebbe accettato un dialogo con il principale nemico di Tusk. E ora che il premier polacco è uscito di fatto sconfitto dalle elezioni, il potere negoziale di Ecr, e quindi di FdI, è destinato a calare sensibilmente.
Strade diverse in Europa
Forza Italia conferma con il vicepremier Antonio Tajani di guardare “ad una maggioranza Ppe, liberali, conservatori. La stessa che mi portò nel 2017 alla presidenza del Parlamento europeo”. Invece l’altro vicepremier, ovvero il leader della Lega, Matteo Salvini rafforza l’asse con la destra internazionale. Salvini lo ha fatto anche ospitando, la settimana scorsa, a Roma le ‘squadre primavera’ dei vari partiti di destra che in Europa sono nel suo stesso gruppo, Identità e democrazia.
La strategia di Salvini appare chiara. E sempre più contigua alla destra sovranista, rappresentata ad esempio dall’amica Marine Le Pen. “Pensare a un Parlamento per la prima volta, senza guida socialista e di sinistra, è qualcosa che è a portata di mano”, ha ribadito Salvini aggiornando il confronto a dicembre.
Allora la Lega accoglierà in Italia una manifestazione con i big della delegazione europea di Identità e democrazia, rinsaldando probabilmente la corsa sempre più in solitaria (rispetto agli alleati italiani) per le Europee. Esplicita l’eurodeputata leghista Susanna Ceccardi: “Noi proponiamo un patto anti inciucio con tutto il centrodestra, che non coinvolga la sinistra europea che ha già fatto troppi danni”.
Si conferma così un refrain che da tempo i leghisti ripetono: per strappare il Parlamento europeo alle sinistre, la coalizione che sostiene Meloni deve fare fronte comune. Esattamente come ha conquistato Palazzo Chigi. Ma le strade tra gli alleati fuori dai confini nazionali sono sempre più lontane.