Voleva trasformarsi da giornalista in artista, ma nella metamorfosi gli è solo riuscito di diventare patetico. L’ultimo tentativo dell’inamovibile Bruno Vespa, 73 anni tra due giorni, per salvare il suo sontuoso stipendio Rai ha superato ogni limite della decenza. In un contesto di difficoltà del Paese, che il suo Porta a Porta racconta sempre meno per far spazio a nani e ballerine, il conduttore ha inviato una lettera al Cda di Viale Mazzini dicendo in estrema sintesi che il tetto sui compensi ai giornalisti a lui non compete. Testimonial per eccellenza di una televisione vecchia e di un modello per cui in Italia chi lecca i potenti campa cent’anni, Vespa spiega che ospitando nel suo programma i protagonisti di Ballando sotto le stelle e circhi affini ha diritto ad avere applicato il trattamento economico degli artisti e non dei giornalisti. Dove vuole andare a parare è chiaro: nel primo caso il compenso è illimitato e si concorda con una Rai che con certi personaggi chissà come mai è sempre generosa. Nel secondo caso, invece, il tetto massimo è quello previsto per i dipendenti della pubblica amministrazione, la miseria di 240mila euro l’anno.
Una somma per la quale questo bisonte della Prima Repubblica non si prende certo il fastidio di donarci la sua presenza in video. Di qui la letterina ai consiglieri di amministrazione, dal sapore neanche tanto allusivo, per chiedere di non applicare tagli di spesa ad personam. Proprio lui che ha goduto di un compenso milionario confezionato su misura, come l’abito di un costosissimo sarto, co-producendo Porta a Porta con la Tv di Stato. Così, fingendo un’improvvisa amnesia su cosa sia l’infotainment, cioè il mix di giornalismo e intrattenimento presentato indifferentemente da professionisti iscritti all’Ordine dei giornalisti o da artisti, Vespa si è virtualmente incatenato al cavallo di viale Mazzini.
L’editore di riferimento – Il signore d’altra parte sa bene come stare in sella. Passato indenne attraverso le battaglie tra correnti della Democrazia Cristiana, attento al rapporto con i socialisti dell’era Craxi, capì per tempo dove tirava il vento e anche grazie a un legame sempre molto stretto con Gianni Letta è diventato una sorta di dipendente occulto di Berlusconi. Pubblicando ogni anno per molti lustri il suo libro strenna di Natale, Vespa si è assicurato dalla Mondadori e da Eri (Rai) una extra tredicesima. Nel suo salotto di via Teulada, usato come una depandance di casa, ha bilanciato a seconda dei successi del momento Prodi e D’Alema, lestissimo ad abbracciare la sponda renziana quando si è visto dove sorgeva il nuovo sol dell’avvenire. Il rapporto con la politica per Vespa ha sempre avuto nel potere la sua stella polare. Tanto da arrivare ad affermare, quando era direttore del Tg Uno, che la politica era il suo editore di riferimento. Sì, è andata esattamente così, e al di là di un po’ di sdegno alla fine anche questa bestemmia gli è stata fatta passare. Di alti dirigenti Rai capaci di spiegargli che per un buon giornalista l’editore di riferimento deve essere solo il pubblico dei lettori (o dei telespettatori) negli ultimi anni ne abbiamo visti pochi. Troppo potente questo signore, al quale un po’ tutti i grandi giornali si mettono a novanta gradi quando c’è da lanciarne i libri pubblicando anticipazioni degne dei migliori uffici marketing. In quelle occasioni a nessuno passerebbe in testa che gli scoop (o presunti tali) centellinati da Vespa siano il frutto di un artista e non di un giornalista. Distinzione che non deve essere neppure balenata al signor Andrea Riffeser Monti quando pensava di nominare direttore editoriale di QN Quotidiano Nazionale il giornalista Vespa e invece nominava un artista.
Vecchio mondo – Come Maria Antonietta o lo zar di Russia che non si accorgevano della rivoluzione dietro l’uscio di casa, il padrone di Porta a Porta ha fatto del suo feudo un mondo impermeabile al cambiamento, aperto ai potenti amici del Palazzo e ai soli giornali e giornalisti che cantano nel giusto coro, mentre per il resto è ermeticamente chiuso al nuovo. A partire dalla politica, dove i Cinque Stelle quando entrano sono regolarmente trattati come parvenu. Un modello che è l’emblema di cosa va archiviato in un Paese che punta davvero alle riforme e a tutte quelle promesse sentite da Renzi e affidate a parole a Campo Dall’Orto. Promesse a cui è difficile credere se poi i monumenti alla conservazione restano immancabilmente dove stanno. E adesso possono permettersi di trattare come ingenui persino i componenti del Cda Rai.