Se uno Stato membro decide di permettere di viaggiare all’interno del proprio territorio o in specifiche regioni, deve farlo in modo non discriminatorio consentendo l’accesso a chi proviene da tutte le aree, regioni o Paesi che nella Ue hanno una situazione epidemiologica simile. È questo il principio stabilito dalla Commissione europea a cui si appella l’Italia per salvare il comparto del turismo che da solo vale il 13% del Pil. La questione sta diventando cruciale in Europa e non a caso Bruxelles ha emanato mercoledì le linee guida comuni per evitare discriminazioni.
Ma proprio nello stesso giorno è arrivato è arrivato lo strappo della Germania che dal 15 giugno riaprirà le frontiere con Francia, Austria e Svizzera. Una decisione che ha fatto infuriare il premier Giuseppe Conte è stato duro: “Non accettiamo accordi bilaterali all’interno dell’Ue che possano creare dei percorsi turistici privilegiati – ha messo in chiaro -. Significherebbe che all’interno dell’Ue il comparto turismo possa essere determinato da accordi bilaterali. Saremmo fuori dall’Unione europea”. Berlino, Vienna, Berna e Parigi sono tra i primi a voler tornare alla normalità, entro il 15 giugno. Ma le quattro capitali, che si sono consultate tra loro per coordinarsi, ritengono che sia ancora troppo presto per aprire a Italia e Spagna.
Inaccettabile, oltre che dannoso, per il nostro Paese. L’ipotesi di corridoi privilegiati con gli storici “concorrenti” per le vacanze estive rischierebbe di compromettere ancora di più la stagione turistica italiana. Per questo il ministro del Turismo, Dario Franceschini, ribadisce all’Ansa l’impegno del governo per evitare “una malsana concorrenza” interna all’Ue: “Abbiamo posto ormai da più di un mese con iniziative singole dell’Italia, con diversi colloqui bilaterali che ho avuto con il commissario europeo al turismo e con vari ministri dei singoli stati, con documenti scritti per chiedere che ci siano regole uniformi a livello europeo per il passaggio delle frontiere dei turisti, ma non solo, proprio per evitare che ci siano accordi bilaterali tra i Paesi. Questo è l’impegno dell’Unione europea e quello che noi dobbiamo sostenere”. La partita è ancora aperta, ma di certo i primi segnali che arrivano da Germania, Austria, Francia e Svizzera non promettono nulla di buono.