Da Berlusconi a Salvini alla Meloni. Ma anche Renzi e Calenda. Il vero campo largo? Quello di chi vuole sfasciare la giustizia.
“Oggi parliamo ancora di giustizia: un processo è davvero giusto se chi giudica è davvero equidistante fra chi accusa e chi si difende. Se il giudice e il pubblico ministero hanno l’ufficio uno accanto all’altro, se sono addirittura colleghi e amici, allora il giudice non può certo essere neutrale. Per questo quando saremo al governo introdurremo la separazione delle carriere”. Parola di Silvio Berlusconi.
Il campo largo degli sfascia-giustizia
Anche se, a ben pensarci, queste stesse parole potrebbe averle pronunciate uguali anche Giorgia Meloni o Matteo Salvini. E fin qui, com’è evidente, nessun stranezza considerando che parliamo dei tre leader facenti parte della stessa coalizione di centrodestra.
Il punto, però, è che quando si parla di giustizia il vero “campo largo” è a destra e si allarga progressivamente inglobando anche il centro.
Già, perché sul tema della separazione delle carriere – così come su altri temi riguardanti la giustizia – la distanza tra centrodestra e Terzo polo è minima. E così quelle stesse parole potrebbe averle pronunciate anche Carlo Calenda, Matteo Renzi o qualsiasi altro rappresentante della coalizione che ritiene che l’Italia “faccia sul serio” solo modificando il funzionamento della macchina giudiziaria.
Fa niente se sulla separazione delle carriere – è bene ricordarlo – c’è stato solo pochi mesi fa un referendum che non ha raggiunto il quorum, ragion per cui propinare sempre la stessa minestra riscaldata non solo è desolante ma anche irrispettoso nei confronti dei cittadini italiani.
L’ultima perla del Cav
Fatto sta, come dicevamo, che Berlusconi ha regalato la seconda perla. Pochi giorni fa, infatti, il leader di Forza Italia ha proposto anche l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione.
Corsi e ricorsi storici dato che questa è una legge che già quando era presidente del Consiglio volle fortemente. Bisogna fare un passo indietro fino al 2006 quando fu approvata la legge Pecorella dal nome del relatore, Gaetano Pecorella, professore, nonché avvocato in tanti processi (nella foto processo Sme, 2003).
Ma il 24 gennaio del 2007 i giudici della Consulta avevano dichiarato illegittimo la legge in questione nella parte in cui escludeva che il pubblico ministero potesse proporre appello contro le sentenze di proscioglimento e dell’articolo 10 della stessa norma nella parte in cui prevedeva che fosse dichiarato inammissibile l’appello proposto dal pm contro una sentenza di proscioglimento.
Secondo i giudici la legge era incompatibile con gli articoli 3 e 24 della Costituzione perché avrebbe consentito all’imputato di appellare contro le sentenze di condanna, “senza accordare al pubblico ministero lo speculare potere di proporre appello contro le sentenze assolutorie”.
In sintesi: non servirebbe a nulla riproporre una legge già dichiarata incostituzionale.
Programmi convergenti
Eppure anche su questo fronte Azione e Italia viva la pensano allo stesso modo. Due su due, dunque.
Stesso andamento. Spiccicato. Il punto, però, è che in realtà le analogie sono molte di più.
Nel piano scritto da Renzi&Calenda c’è ad esempio la “previsione di un sistema di valutazione di professionalità dei magistrati effettivo e puntuale, anche da parte dei rappresentanti delle università e dell’avvocatura all’interno dei consigli giudiziari”.
Anche qui , però, ci si dimentica che un quesito referendario prevedeva proprio questo. E anche in questo caso niente quorum. Ma Italia viva e Azione – insieme al centrodestra – programmano misure ancora più punitive. E dopo il 25 settembre potrebbero avere un’ampia maggioranza per realizzarle.
Uno dei primi punti del programma del Terzo polo prevede, ancora, la “riforma della normativa sulla custodia cautelare, per eliminare ogni possibile abuso”.
Questa proposta – come anche la separazione delle carriere e il voto degli avvocati sui magistrati – è stata bocciata dagli elettori appena a giugno nei referendum-flop promossi da Lega e Partito radicale, come detto.
Ma ancora una volta agli ottimati del polo centrista non sembra interessare. Il quesito, appoggiato sia da Azione che da Italia viva, voleva cancellare la possibilità di applicare qualsiasi misura cautelare (non solo la custodia in carcere) per il rischio di reiterazione di reati della stessa specie, a eccezione di quelli violenti.
Così sarebbe diventato impossibile intervenire per i reati dei colletti bianchi, ma anche per fattispecie dal forte allarme sociale come spaccio, furti ed estorsioni.
Prove generali di bavaglio
Potevano poi mancare norme che comportano il serio rischio, semmai dovessero diventare legge, di imbavagliare la stampa? Ovviamente no.
Oltre alla norma che mira ad abrogare anche la riforma Bonafede che interrompe la prescrizione del reato dopo la condanna di primo grado, una legge che ancora garantisce ai processi un margine di sopravvivenza in più, si prevede anche una norma ad hoc relativa alla “presunzione d’innocenza“, che impone a magistrati e forze dell’ordine di comunicare con la stampa solo in casi eccezionali e preferibilmente in forma scritta, con sanzioni disciplinari per chi non si adegua.
Al punto successivo, infatti, si chiede il “rafforzamento delle norme finalizzate a garantire l’effettiva applicazione del principio della presunzione di innocenza per contrastare la spettacolarizzazione mediatica“, una promessa che fa il paio con quella del programma di centrodestra di garantire “lo stop ai processi mediatici e il diritto alla buona fama”.
Non resta che aspettare: se dovesse vincere il centrodestra, con l’appoggio di Iv e Azione ci sarebbero i numeri per devastare la giustizia.