“Un bluff spudorato”. Il senatore pugliese M5S, Marco Pellegrini, non usa mezzi termini per condannare il comportamento di ArcelorMittal.
Cinquemila esuberi e nessuna garanzia. Lo scudo penale era solo un pretesto per giustificare un piano industriale sbagliato come lo ha definito Conte?
“Parliamoci chiaro, quello di Mittal è stato un bluff spudorato. Sul cosiddetto scudo penale l’azienda ha creato un diversivo: è chiaro ormai che un anno fa ha sottoscritto un accordo solo per tagliare fuori qualche gruppo siderurgico concorrente. Ad Arcelor Mittal di rilanciare il sito di Taranto non è mai interessato nulla”.
Eppure l’ex ministro Calenda insiste: c’era un contratto che vincolava ArcelorMittal a investire e a non licenziare, con il voto sull’emendamento Lezzi l’azienda è stata liberata da questi obblighi…
“Calenda è stato forse il primo a farsi fregare da Mittal. Da ministro ha sopravvalutato possibilità e intenzioni di questa società. Non solo. Nell’aprile del 2017 una relazione dei tre commissari dell’ex Ilva dell’epoca stroncò il piano industriale di Mittal, eppure Calenda fece finta di nulla. Se si sostiene che togliendo lo scudo penale si è tolto un alibi, si ammette che la società non vedeva l’ora di svignarsela. E, con l’immunità, di alibi ne avrebbe trovati altri. Ricordo anche che a noi senatori era arrivata una lettera del procuratore di Taranto che bollava quell’immunità come a rischio di incostituzionalità”.
Il Governo è stato chiaro: le condizioni di ArcelorMittal sono inaccettabili. Ma ora come se ne esce?
“Attenzione: alla stipula del contratto, il Governo Conte I andò incontro in tutti i modi a Mittal. Ora non possono dirci che vogliono buttare in mezzo a una strada 5 mila lavoratori perché hanno sbagliato i conti. Se ne esce sedendosi a un tavolo e ragionando sul perché si perdono due milioni al giorno, sforzandosi di cercare soluzioni. Non facendo armi e bagagli per scappare via”.
L’azienda, intanto, ha intrapreso un’azione legale per chiedere la risoluzione del contratto e l’epilogo sembra segnato. Cosa potrebbe opporre in giudizio lo Stato italiano all’azienda franco-indiana?
“Chiariamo: Mittal alla stipula del contratto auspicò l’immunità penale, ma non la pose come condizione imprescindibile. Patuanelli lo ha ripetuto forte e chiaro in aula al Senato. L’offerta presentata da Mittal era “incondizionata”, quindi senza condizioni e vincolante. L’azione legale è solo una prova muscolare: non ci facciamo intimidire”.
Comunque si chiuda la vertenza, su Taranto resta aperta la questione delle questioni: conciliare il diritto al lavoro con quello alla salute. Ma come?
“Con un piano industriale serio e una forte riconversione ambientale, che poi è quella che si è impegnata a completare Mittal. Il M5S è sempre stato dalla parte di tutti i tarantini, sia quelli che vivono a pochi passi dall’ex Ilva, sia quelli che ci lavorano. Tanto è vero che abbiamo sempre spinto per un piano generale di rilancio di Taranto non incentrato solo sull’acciaio. L’ex Ilva deve continuare a produrre, ma in condizioni diverse da quelle degli ultimi cinquant’anni”.
E se alla fine Arcelor Mittal lasciasse l’Italia, c’è un piano alternativo per l’ex Ilva? E contempla anche la nazionalizzazione?
“Il Governo farà tutto il possibile per far rispettare l’intesa a Mittal. L’acciaio è cruciale per la politica industriale del nostro Paese, non permetteremo che il sito di Taranto muoia”.