Una doppietta. Nella sua personalissima gara per aggiudicarsi il record di voti di fiducia, l’esecutivo di Giorgia Meloni ieri ha segnato altri due punti. La prima arriverà già oggi alla Camera dove inizieranno le votazioni sul Dl Cultura. Ma la vera sorpresa è stata la fiducia annunciata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, durante la Conferenza dei capigruppo del Senato sul decreto legge Milleproroghe, che arriverà in aula solo la prossima settimana.
La rabbia delle opposizioni per l’ennesima fiducia
Una scelta che ha fatto infuriare le opposizioni: “Contestiamo la richiesta preventiva di fiducia – ha sottolineato a nome di tutte le opposizioni il capogruppo del Pd, Francesco Boccia– perché è grave. Non abbiamo ancora iniziato a votare gli emendamenti, dentro il ‘Milleproroghe’ ci sono solo alcuni temi, tra i tanti, sui quali noi contestiamo la distanza del Governo, mi riferisco alle bollette che sono fuori controllo, alle questioni sociali, a partire dai salari e dalla sanità, ci sono una serie di emendamenti che le opposizioni hanno presentato in maniera anche unitaria che non hanno ancora avuto la risposta dei ministeri competenti, ma già il Governo pone la fiducia. Temiamo che sia l’ennesima fiducia che mettono su di loro perché sono divisi e non vogliono discutere”.
In passato il giudizio sui voti blindati era differente
Già, le ennesime questioni di fiducia che il governo annovera. Sono lontani i tempi nei quali Giorgia Meloni definiva il voto di fiducia “un errore drammatico” (2006) o una “una scelta oligarchica” (2015) oppure “una vera e propria vergogna” (2017) e che tre anni fa parlava di “una mortificazione del Parlamento, una deriva democratica”.
Giorgia raggiunge quota 60 e insidia Renzi a 68
Come ricordava Giulio Cavalli su la Notizia pochi giorni fa, l’esecutivo Meloni brilla per il numero di fiducie chieste: 58, cui vanno aggiunte le due annunciate ieri. Totale 60. Tra i governi delle ultime legislature, solo quello guidato da Matteo Renzi aveva “fatto meglio”, con 68 voti.
L’esecutivo Renzi, però, restò in carica tre anni, mentre l’attuale si trova a palazzo Chigi da meno di due. Al terzo posto poi troviamo il governo Draghi che ha fatto ricorso alla fiducia in 55 occasioni durante i 20 mesi in cui è rimasto in carica. Il governo Meloni sale invece al primo posto se si considera il rapporto percentuale tra voti di fiducia e disegni di legge approvati.
Una destra divisa e insicura
Numeri assoluti a parte, ogni voto di fiducia è una manifestazione di debolezza e mancanza di coesione nella maggioranza. E, in effetti, la maggioranza di centrodestra appare oggi molto meno granitica che in passato (basta vedere la vicenda sulla presidenza della Rai). E, naturalmente, ogni voto di fiducia è una mortificazione del Parlamento, ridotto ormai a mero passacarte. Ma questo non sembra importare molto ai parlamentari di maggioranza. Che tanto loro votano. E tacciano.