Non si ferma il fuoco di fila contro la riforma della Giustizia targata Marta Cartabia. Dopo le bocciature senza appello del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, e dell’Anm (leggi l’articolo) l’ultima bordata è arrivata ieri dal Consiglio superiore della magistratura.
BOCCIATURA. La VI Commissione di Palazzo dei Marescialli, competente sull’amministrazione della giustizia in materia di corruzione e contrasto alle organizzazioni mafiose e terroristiche, ha approvato a larga maggioranza (4 voti a favore e 2 astensioni), un parere che suona il de profundis per la riforma del Governo Draghi. “Riteniamo negativo l’impatto della norma perché comporta l’impossibilità di chiudere un gran numero di processi”, spiega il presidente della Commissione, il laico Fulvio Gigliotti, in quota Cinque Stelle. Ma non è tutto.
“La disciplina non si coordina con alcuni principi dell’ordinamento come l’obbligatorietà dell’azione penale e la ragionevole durata del processo”, aggiunge. Una bocciatura totale, insomma, del nuovo meccanismo studiato dalla Cartabia che mantiene in vita la prescrizione solo fino alla conclusione del primo grado di giudizio per cedere poi il passo, dal secondo grado, all’istituto dell’improcedibilità: se l’Appello non si chiude entro due anni, il processo muore definitivamente. Stesso principio applicato anche in Cassazione, dove la scure scatta dopo un anno.
Termini più lunghi (tre anni in Appello e 18 mesi in Cassazione) sono stati invece previsti – per effetto del braccio di ferro dei ministri M5S nel Consiglio dei ministri che licenziò la riforma Cartabia – solo per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione, istigazione alla corruzione e induzione indebita a dare o promettere utilità) oltre che per i reati di mafia e terrorismo.
Del tutto esclusi da questo meccanismo, invece, quelli puniti con l’ergastolo (come omicidio e strage) che resteranno imprescrittibili. Per la VI Commissione del Csm la principale criticità riguarda tuttavia il termine dei due anni, a pena di improcedibilità, entro il quale celebrare il processo di appello. “Non è sostenibile in termini fattuali in una serie di realtà territoriali, dove il dato medio è ben superiore ai due anni, ed arriva sino a 4-5 anni”, prosegue Gigliotti. Ergo, con la nuova norma, “si impedisce la trattazione di un gran numero di processi”. Rilievi che si sommano a quelli relativi al principio della ragionevolezza che secondo la Commissione – il cui parere dovrebbe essere discusso e votato dal plenum mercoledì prossimo – la riforma Cartabia violerebbe.
ALTRA GRANA. E non finisce qui. Sempre ieri, il plenum di Palazzo dei Marescialli è stato teatro di un rovente scontro sull’autorizzazione ai magistrati designati nella Commissione per la giustizia al Mezzogiorno, istituita dalla guardasigilli Cartabia e dalla ministra per il Sud Mara Carfagna. Alla fine il via libera è arrivato, ma con appena tre voti di scarto (8 i contrari, 11 a favore, compreso il vicepresidente David Ermini), segno inequivocabile della pesante spaccatura registratasi sul tema. A votare contro, i consiglieri togati Sebastiano Ardita (nella foto) e Nino Di Matteo, i tre laici eletti dal Movimento 5 stelle (Gigliotti, Filippo Donati e Alberto Benedetti) e quello in quota Forza Italia, Alessio Lanzi.
Che hanno contestato non soltanto l’istituzione stessa di una Commissione per i soli gli uffici giudiziari del Mezzogiorno, considerata una discriminazione territoriale che viola il principio costituzionale dell’unità giurisdizionale. Ma anche l’idea di affidarle la gestione della giustizia, delegandole di fatto competenze che, costituzione alla mano, spettano al Csm e in parte al ministero della giustizia. Una impostazione “inaccettabile e offensiva”, secondo Di Matteo, perché “muove da una discriminazione incomprensibile tra uffici del Meridione e del resto del Paese”.
Come se le questioni che sarebbe chiamata ad affrontare non riguardassero molti uffici giudiziari nel Paese ma “soltanto ed esclusivamente gli uffici del Sud”. Ci va giù pesante anche il collega Ardita: “Il conferimento dell’incarico a magistrato a una commissione come questa è idonea a ledere e ad appannare l’immagine di indipendenza dei magistrati dei quali oggi si chiede la partecipazione di questa commissione interministeriale”, taglia corto il togato del Csm. L’ultima miccia è già accesa.