Parlare di pace significa “seminare odio” mentre inviare armi all’Ucraina è un modo per “forzare chi ha iniziato la guerra a sedersi a un tavolo” per giungere all’agognato cessate il fuoco. Questa la tesi sostenuta dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un’intervista al Corriere della Sera dove ha parlato a tutto tondo del prossimo invio di armi a Volodymyr Zelensky, del conflitto scatenato dall’invasione russa e, in ultimo, delle posizioni tenute da Giuseppe Conte in questi ultimi tempi.
C’è da dire che il ministro e il leader pentastellato battibeccano da settimane e quest’intervista difficilmente porrà fine alla lite a distanza. Il problema, semmai, è che qualcosa nel ragionamento di Crosetto sembra stonare. “Tutto quello che questo governo sta facendo nei confronti dell’Ucraina è implementare le decisioni dell’esecutivo Draghi, della cui coalizione Conte guidava il partito maggiore.
All’ex premier vorrei ricordare che tutto ciò che è stato inviato negli ultimi mesi (…) è stato deliberato sulla base di 5 decreti definiti dal precedente governo” ha aggiunto. Che tutto ciò sia vero è evidente ma quello che Crosetto omette è che il capo M5S è da sempre riluttante davanti all’invio di armi in quanto l’Italia e l’Ue, secondo lui, dovrebbero imporsi come mediatori per far trionfare la pace.
Per questo da giugno scorso Conte ha più volte chiesto di mettere paletti nell’invio di armi, sostanzialmente coinvolgendo maggiormente il Parlamento. Tutto ciò ha portato ad un’aspra battaglia culminata con la risoluzione, votata a fine giugno dal Senato, che, dopo il pressing dei 5 Stelle che minacciavano di strappare con la maggioranza, impegnava l’allora governo di Mario Draghi a “continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari”.
Poi il ministro della Difesa, nella stessa intervista, ha spiegato che è “legittimo (da parte di Conte, ndr) che passi da fornitore di armi a pacifista convinto ed è anche legittimo che guardi i sondaggi per decidere di cambiare idea”, ma non che usi “epiteti violenti nei confronti di persone fisiche che hanno la sola colpa di rappresentare lo Stato” perché così “sta alimentando l’odio verso persone fisiche”.
Si tratta di parole dure e che non sembrano corrispondere a quello che sta facendo il leader dei 5S che chiede un cambio nella linea – da lui definita “guerrafondaia” – del governo. Può piacere o no ma si tratta di un parere che ieri Conte ha difeso con forza: “Non può fomentare l’odio chi invoca un negoziato di pace (…) la violenza la fomenta un Governo che mira scientemente a creare ingiustizie sociali e che mira a lasciare sul lastrico persone che versano in povertà assoluta“.
Ma nell’intervista viene dato spazio anche alle tensioni con Forza Italia e Lega sempre in relazione all’invio di armi a Kiev. Punto su cui Crosetto spiega che “la linea politica indicata nella mozione di maggioranza è chiarissima” e che “con Fi e Lega non ci sono problemi”. Peccato che sono noti da mesi i mal di pancia di Matteo Salvini per l’invio di armi e per le sanzioni alla Russia. E anche tra gli azzurri non manca chi sembra pensarla diversamente.
La diplomazia batte un colpo
Così mentre in Italia si discute di armi, sul campo la situazione resta tesa. Eppure qualcosa nelle ultime ore sembra iniziare a smuoversi sul fronte della diplomazia visto che il presidente americano Joe Biden, in una conferenza stampa congiunta con il leader francese Emmanuel Macron, si è finalmente detto disponibile a un incontro con Vladimir Putin se quest’ultimo “cercherà un modo per porre fine al conflitto”.
Il problema in tal caso è che le condizioni poste dagli Usa sono state giudicate irricevibili dal Cremlino in quanto “de facto (Biden, ndr) ha detto che i negoziati saranno possibili solo dopo che Putin lascerà l’Ucraina”. Ma da Mosca hanno fatto una controproposta dicendo che il tavolo tra il leader russo e quello americano è possibile a patto che quest’ultimo “riconosca ufficialmente i territori annessi dalla Russia”.
Chiaramente si tratta di posizioni su cui non sembra possibile un accordo ma sono anche la prova che forse, dopo nove mesi di guerra, un tavolo per trattare la fine delle ostilità non è più una totale utopia.