Dopo avere rimediato una magra figura con la sua lista dei “putiniani d’Italia” e dopo essere stato inserito – questo sì – nella lista dei “crosettiani d’Italia” Gianni Riotta sfida ogni proporzione del senso del ridicolo e con il bollino sulla fronte del ministro di Fratelli d’Italia verga su Repubblica – altro paradosso – un editoriale in cui spiega alla nuova segretaria del Partito democratico Elly Schlein come dovrebbe gestire il suo partito. Lo fa ovviamente alla Riotta, con il suo metodo che gli ha fatto guadagnare l’epiteto di the opposite of journalism da Glenn Greenwald, allora giornalista del The Guardian e poi fondatore del giornale The Intercept.
C’è pure il giornalista Gianni Riotta nel think thank del ministro di FdI. La missione: portare la leader Pd sul fronte bellicista
Che dice Riotta? Si augura che Elly Schlein “non si rinchiuda in un cabaret di yes-men, si apra alla sinistra raziocinante, deluda chi sull’Ucraina svende il pacifismo a Putin, non lasci la difesa delle democrazie in Europa agli ex missini, tenga la posizione”. La domanda, ogni volta che Riotta dispensa consigli a qualcuno, è sempre la stessa: da cosa deriva la sua credibilità politica? Qualche indizio lo abbiamo.
Di certo Riotta è molto più bravo a ottenere l’ingresso nelle liste amichevoli dei politici piuttosto che stilarle. Il “think tank” voluto dal ministro Crosetto è almeno un elemento di chiarezza nello scenario dei sostenitori della guerra. Lì dentro c’è chi, come Riotta, non voglia che si muova foglia che la Nato non voglia, ma ci sono anche analisti geopolitici che qualche progressista ha ultimamente frainteso. Il ministro Crosetto deve avere pensato che andasse premiato un giornalista che su Repubblica è riuscito nella mirabile impresa di presentare una lista di presunti “putiniani d’Italia”.
La firma del quotidiano romano annunciò con clamore che quei nomi fossero figli di uno “studio” (parolina magica per travestirsi di autorevolezza) della “Columbia university curato dai docenti Olga Bertelsen e Jan Goldman”. Poi si scoprì che non era uno “studio” e non era nemmeno “della Columbia university”. Un errore da poco. Lì dentro Riotta ci ha infilato nomi a titolo personale: Mattei, Fassina, Boldrini, Spinelli che nel testo “americano” non esistono. Un’altra svista da poco, per un fine analista geopolitico come lui.
O forse Riotta dispensa consigli al ministro di destra e alla segretaria del partito di centrosinistra forte del fiuto con cui – da grande esperto di cose americane come si professa – alla vigilia della vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane, vaticinava su Facebook: “La campagna elettorale di Trump è ufficialmente finita stanotte, al terzo dibattito con la rivale democratica Hillary Clinton. Trump era partito alla grande, senza sniffare. D’improvviso, ha distrutto le residue, esili chance di vittoria repubblicana. Vincerà Hillary, The Donald è stata una grande distrazione, colorata, petulante e vana”.
Non male, eh? O forse l’autorevolezza gli deriva dalla direzione di quel Tg1 rimasto nella memoria dei telespettatori italiani per il “bollettino della vittoria” nella gara degli ascolti sulla pelle dei morti per il terremoto de L’Aquila. O forse l’autorevolezza gli deriva dalla direzione de Il Sole 24 Ore lasciata dopo 16 mesi perdendo 100 copie al giorno in edicola (54mila in tutto) e il 30% degli abbonati.
O forse, a pensarci bene, Riotta dispensa consigli politici dall’alto della sua approfondita conoscenza della Costituzione italiana dimostrata quando in tv negava – con la sua solita adorabile modestia – che nell’articolo 1 si affermi che la sovranità appartiene al popolo. Aggiungiamo anche noi un piede alla lista di consigli sulle persone da non ascoltare per Schlein: Gianni Riotta.