Crisi alimentare guerra Ucraina Russia: quali saranno i primi Paesi a rimanere senza cibo a causa del conflitto?
Crisi alimentare guerra Ucraina Russia: la denuncia dell’ONU
La guerra in Ucraina e lo stop dell’export di grano in 53 Paesi dislocati in contesto internazionale stanno per causare una carestia di proporzione disarmante. L’allarme è stato lanciato dall’ONU. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, infatti, ha confermato la crisi durante un importante vertice organizzato a New York. In questa circostanza, Guterres ha riferito che il conflitto russo-ucraino sta esasperando l’insicurezza alimentare a livello globale. Insicurezza già compromessa dalla pandemia e dal riscaldamento delle temperature.
Dall’ONU, è arrivata anche la denuncia del capo del Programma alimentare mondiale (World Food Program), David Beasley. Durante una recente riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite presieduta dal segretario di Stato americano Antony Blinken, Beasley ha dichiarato: “Siamo davvero in una crisi senza precedenti. Il prezzo del cibo è il nostro problema numero uno in questo momento. Ma nel 2023 ci sarà un problema di disponibilità di cibo. Quando un paese come l’Ucraina, che coltiva cibo a sufficienza per 400 milioni di persone, è fuori mercato, crea volatilità del mercato, che ora stiamo vedendo – e ha aggiunto –. La mancata apertura dei porti nella regione di Odessa sarà una dichiarazione di guerra alla sicurezza alimentare globale. E si tradurrà in carestia, destabilizzazione e migrazione di massa in tutto il mondo”.
Quali sono i Paesi che rimarranno presto senza cibo? L’analisi di Coldiretti
L’allarme relativo alla crisi alimentare conseguenza della guerra tra Ucraina e Russia è stato ribadito anche da Coldirettiche ha precisato che il rischio di carestia è pressante in 53 Paesi. Secondo quanto riferito attraverso una nota, si tratta di Paesi che spendono circa il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e che stanno risentendo in modo terribile dell’aumento dei prezzi di grano e riso.
La situazione attuale, secondo Coldiretti, si ripercuoterà sulle Nazioni più ricche che verranno travolte dall’inflazione: si stima un 6,1% nell’eurozona e un taglio della crescita del Pil. Nelle nazioni più povere, invece, l’indigenza alimentare si estenderà velocemente soprattutto in Africa e Asia.
Coldiretti, poi, ha spiegato: “Peraltro il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero a causa dell’invasione russa ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato – e ha precisato –. Il risultato è stato un balzo delle quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale che sono aumentate in media del 29,8% nell’ultimo anno ma a tirare la volata sono i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 34% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 24%, lo zucchero aumenta di oltre il 22%, la carne del 17% ed i grassi vegetali sono balzati addirittura del 46% rispetto all’anno scorso”.
Crisi alimentare guerra Ucraina Russia: il caso dell’Italia
In relazione al caso dell’Italia, Coldiretti ha riferito che la crisi alimentare causata dalla guerra Ucraina-Russia riguarda in modo diretto il Paese. La Penisola, infatti, è un Paese deficitario che importa:
- il 62% del fabbisogno di grano per produrre pane e biscotti;
- il 35% del grano duro per la pasta;
- il 46% del mais per l’alimentazione del bestiame.
Sul caso dell’Italia, quindi, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha affermato: “Bisogna invertire la tendenzaed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei. Nell’immediato occorre salvare aziende e stalle da una insostenibile crisi finanziaria per poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni per combattere la siccità, a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.