di Lucrezia De Angelis
Sanzioni, minacce, richiami. Putin non si cura degli Usa e dell’Europa. Il nuovo zar sa bene che l’Occidente non può andare oltre il buffetto. Deve salvare la faccia e poi ingoiare il boccone più amaro: la Russia può fare quel che vuole e non ci sono strade percorribili per fermarla. Il presidente ha così proceduto all’annessione della Crimea.
L’ultimo atto
All’indomani delle sanzioni decise a Bruxelles e Washington, dopo giorni di braccio di ferro e contatti febbrili tra segreterie, ma soprattutto dopo l’invasione della Crimea una volta iniziata la rivolta per la democratizzazione in Ucraina, ieri Vladimir Putin ha firmato al Cremlino l’accordo con i leader politici della Crimea per l’entrata ufficiale della penisola nella Federazione Russa. La cerimonia, che ha fatto seguito al referendum di domenica scorsa, si è svolta nella sala di San Giorgio e vi hanno preso parte il premier e il presidente del parlamento di Crimea, Serghei Aksenov e Vladimir Konstatinov, oltre al sindaco di Sebastopoli. L’accordo deve ora essere ratificato dal parlamento, ma non dovrebbe essere altro che una formalità. Sempre Putin, a Mosca, ha poi parlato della vicenda davanti ai membri della Duma e del Consiglio della Federazione riuniti in seduta congiunta, insieme agli 83 governatori della Russia. E la Crimea ha accelerato l’addio alla moneta di Kiex e specificato che dal mese prossimo adotterà il rublo.
L’errore storico corretto
Putin, come già detto dall’ex leader Gorbaciov, ha battuto su un intervento finalizzato a correggere un errore storico. Il presidente ha sostenuto che la Crimea è stata e resta parte inalienabile della Russia e che la decisione di Nikita Krushev, l’artefice della destalinizzazione dell’ex Unione sovietica, di cederla all’Ucraina fu presa in violazione della stessa costituzione dell’Urss. Putin ha poi specificato che in Crimea vi saranno tre lingue statali di uguale diritto, russo, ucraino e tartaro di Crimea. Tre lingue dunque tutte poste sullo stesso piano.
Usa e Ue ignorati
Le minacce e le sanzioni dell’Occidente non sembrano aver minimamente toccato Putin. Le sanzioni, in particolare, per il presidente “suscitano ironia e sarcasmo”. Poi le bacchettate direttamente agli Stati Uniti d’America. Il presidente ha sostenuto che “la Russia non vuole altre secessioni dall’Ucraina”. Il numero uno del Cremlino ha dichiarato di volere un’Ucraina forte, sovrana e autosufficiente. “Abbiamo progetti comuni e siamo pronti ad aiutarli”, ha specificato il nuovo zar. Putin ha quindi aggiunto che gli Usa utilizzano la “legge del più forte”. Gli States, per Putin, ignorano quando fa loro comodo le risoluzioni dell’Onu, citando come esempio i bombardamenti nel 1989 di Belgrado, o gli interventi in Afghanistan, Iraq, e Libia, salvo poi, sempre per convenienza, attestarsi su posizioni opposte. Non appare così un modo per far tornare indietro il Cremlino sulla Crimea l’intervento dell’Europa, che tramite il ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha confermato l’ipotesi che la Russia venga esclusa dal G8. I preparativi per il vertice, in calendario per il prossimo giugno a Sochi, sono stati interrotti. Ma Putin resta comunque fra gli invitati alle commemorazioni che si terranno in Francia, il 6 giugno, per il settantesimo anniversario del D-day. Il presidente americano, Barack Obama, ha invece proposto una riunione dei leader del G7 all’Aja la prossima settimana, da dedicare al caso Ucraina.
Ucraina sola
Nei fatti l’Ucraina appare così sempre più abbandonata. Da Kiev, il ministero degli esteri ha chiesto alla comunità internazionale di non riconoscere la separatista Repubblica di Crimea e l’annessione alla Russia. Ma le sue parole sembrano destinate a cadere nel vuoto. Solita solidarietà, impegni solo a parole e poi niente.