Gian Maria De Francesco per Il Giornale
Si fa presto a dire spending review. Basta un tratto di penna o una slide ben presentata e si può far credere all’opinione pubblica che basti poco per invertire il verso dei costi dello Stato. Poi c’è la realtà quotidiana, quella dei numeri, delle tabelle. E la musica non è la stessa che viene suonata dal premier Matteo Renzi. O dal supercommissario Carlo Cottarelli.
Non è un lavoro semplice quello dell’ex dirigente del Fondo Monetario Internazionale, nessuno lo nega. Ma era lecito attendersi qualche risultato in più dopo nove mesi nei quali lui e il suo team sono stati subissati dalle scartoffie pubbliche. E, invece, neanche le auto blu dei ministeri è riuscito a ridurre stabilmente a 5 per ciascuno (al Tesoro, per lo meno, le hanno dimezzate da 24 a 12).
Perché la politica, la casta riesce sempre a salvarsi. Certo, adesso Cottarelli si «vendicherà» inviando insieme al presidente dell’Authority anti-corruzione, Raffaele Cantone, cento lettere a tutti gli enti pubblici (ministeri inclusi) che non hanno effettuato gli acquisti tramite la Consip, la centrale acquisti dello Stato. Ma, se il buongiorno si vede dal mattino, come riuscirà a tagliare i 17 miliardi previsti dal Def dal bilancio dello Stato nel 2015? Essere scettici non è un esercizio di disfattismo. Non significa «gufare».
Basta dare un’occhiata al Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti e al Siope, la banca dati della Ragioneria dello stato-Bankitalia sulle pubbliche amministrazioni che proprio Cottarelli ha reso di libero accesso, per scoprire la vera natura dei conti. Innanzitutto, nel 2013 la spesa pubblica corrente (redditi, pensioni, acquisti di beni e servizi) è cresciuta dell’1,3% a oltre 345 miliardi. Le prestazioni pensionistiche sono aumentate del 2,7% a 319 miliardi, anche a causa dell’esplodere della cassa integrazione. Ma è in quei 60 miliardi rappresentati alla voce «altre spese correnti» che si è verificato l’incremento maggiore (+5,6%).
Insomma, i risparmi sono stati conseguiti tagliando gli investimenti, cioè la spesa in conto capitale, crollata del 12,8% a poco più di 42 miliardi. Basta rinunciare alle infrastrutture e con Bruxelles si fa una bella figura anche se si rinuncia all’ammodernamento del Paese. Non sono grandi cifre in un bilancio complessivo da circa 800 miliardi, ma quello che dice la Corte dei Conti è che l’anno scorso sono volati via «circa 15 miliardi in più di spesa corrente primaria».
Poi, sta a chi di dovere decidere dove tagliare: se nei 228 miliardi di trasferimenti alle pubbliche amministrazioni (Parlamento, Regioni, Comuni incluse le 10mila Spa di Stato) oppure sulle pensioni, sui 34 miliardi di sgravi fiscali. O sui 130 miliardi di spese per comprare beni e servizi.
Consideriamo un esempio concreto: i pagamenti delle Asl. La banca dati del Siope. Tra 2012 e 2013 c’è stato un decremento delle uscite di 4 miliardi a 113 miliardi, ma se si controlla bene si nota che il rimborso delle anticipazioni è calato di 4,4 miliardi. Le spese per gli acquisti di beni e servizi sono rimaste invariate a circa 56 miliardi. Alla faccia dei costi standard che, infatti, restano ancora un miraggio.
Anche se Cottarelli sta preparando un prontuario dei prezzi sia per ciò che è acquistabile tramite Consip che per tutto il resto. Nel primo semestre del 2014 le Asl hanno risparmiato circa 3,3 miliardi tagliando spese per il personale e per l’acquisto di servizi, ma hanno speso 2 miliardi in più per regolarizzare pagamenti arretrati. La coperta è sempre troppo corta.