Di Stefano Feltri e Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano
In Basilicata, due mesi fa, un consigliere regionale ha spedito una interrogazione al governatore: “Va aperta una sede di rappresentanza a Potenza”. Potenza è il capoluogo, a Potenza c’è il governo locale, ma forse per il consigliere Potenza deve rappresentare meglio se stessa in se stessa: “Non è più procrastinabile non considerare il ruolo della città di Potenza, anche in relazione alla comunità provinciale e regionale, e fare fronte comune fra istituzioni e società civile per la difesa dei valori della coesione sociale”. Non vuol dire nulla. Come nulla vogliono dire gli uffici, gli sportelli, le ambasciate che le Regioni, convertite in staterelli autonomi e disinvolti, spalancano e serrano nel mondo. E ficcano decine di bandierine da Buenos Aires a Seul. Ovunque.
Il commissario Carlo Cottarelli, il signor spending review, ha ordinato ai suoi collaboratori di mettere insieme quelle bandierine – che a volte durano anni, a volte pochi mesi – e di fare un calcolo di spesa e di proporre un risparmio. Cottarelli aspetta da un anno lo studio (le regioni ritardano), entro un mese potrebbe ricevere una tabellina. Il compito è probante. Ci aveva provato già Enrico Bondi: analisi, sommatorie, sottrazioni, e nulla di efficace. Ci aveva puntato persino Giulio Tremonti, all’epoca di Silvio Berlusconi a palazzo Chigi, e aveva scovato 178 sedi, di cui 21 a Bruxelles nonostante le regioni siano 20: il numero si fa dispari perché Trento e Bolzano non volevano e non vogliono condividere le medesime stanze. Il ministero per gli Esteri, anche, riporta il monitoraggio che fa la Conferenza delle Regioni: la Farnesina, però, non riesce a spiegare se la quantità enorme – elenco di 18 pagine, oltre cento uffici – sia (124, ndr) ancora valido o troppo parziale. In questa giungla s’è avventurato Cottarelli, che promette risparmi di spesa, ma va controtendenza: il governo sta per ottenere una riforma di palazzo Madama che renderà i governatori regionali ancora più potenti: senatori a Roma, tutti.
Capitale e Bruxelles. A Roma, però, le regioni già presidiano il territorio e scelgono gli appartamenti più prestigiosi e più vicini a palazzo Chigi. Il Veneto abita in via del Tritone, ti affacci e puoi scrutare Matteo Renzi curvo sulle sudate carte nel suo studio. Che fanno i veneti così in centro a Roma: “Svolgono attività di promozione del ‘Sistema Veneto’”. Da vent’anni, i calabresi sono presenti con una “delegazione” per offrire supporto. E ci sono i campani, i toscani, i piemontesi. Nessuno escluso. Il Molise ha 314.000 abitanti, Campobasso dista un paio di ore da Roma: aveva una coppia di sedi nella capitale, una è fallita per debiti. La posizione migliore è per la Valle d’Aosta – 121.000 residenti – perché è in faccia a palazzo Chigi. E forse può aiutare la comunicazione. A Bruxelles non manca una regione, ci sono strutture lussuose in zone molto costose, responsabili riveriti e ben pagati. Se ai funzionari europei poni una semplice domanda – “che fanno le Regioni a Bruxelles?” – ti rispondono senza pensarci un attimo: poco o nulla, spesso ospitano il governatore che va in visita. Il dramma burocratico per eccellenza l’ha vissuto la Liguria, che aveva comprato una palazzina di cinque piani, l’avevano chiamata Casa Liguria: eccessiva, una spugna per le casse genovesi. E allora sono andati in affitto, in un trilocale da 75 metri quadrati. Motivazione? Così spendiamo di meno, soltanto 15.000 euro tra locazione e manutenzione.
Mondo. Questa è la parola magica: missione. Spesso, durante l’anno, leggerete o sentirete che il governatore parte in missione: Sud America, Stati Uniti, Vietnam o India, non importa. La missione non è segreta: è un po’ impossibile e un po’ inspiegabile. Quando a Cottarelli hanno riferito che la Puglia ha un ufficio a Tirana (lo volle Raffaele Fitto) e il Piemonte a Buenos Aires (per questioni di emigrazioni) e in Nicaragua, non ci voleva credere. E il gruppo del Tesoro gli ha replicato sommessamente: questi sono soltanto due minuscoli esempi. Restiamo a Torino. Che rapporto storico ha la metropoli sotto le Alpi e la gelida Minsk in Bielorussia? Neppure quello climatico. Ma la Regione Piemonte, da anni, attraversa il continente per esportare la “piemontesità” a Minsk: prima il carnevale di Ivrea, poi per partecipare alla fiera del turismo. Ekaterinburg, vi suona familiare? È una metropoli russa, provincia di Oblast’ di Sverdlovsk, Urali centrali. Il polo industriale di Ekaterinburg ha attratto tre regioni: Piemonte, Liguria e Marche. Viaggi, referenti, corrispondenze. La Regione Lombardia di Roberto Formigoni aveva inaugurato 30 punti di contatto, l’intero pianeta conosciuto e apprezzato da Formigoni, inclusa Cuba. Oggi per rifare una mappa precisa va consultato il Lombardia Point, una rete per l’internazionalizza -zione delle imprese gestita da governo di Milano, da dodici Camere di Commercio, dal ministero per lo Sviluppo Economico, da Sace e Simest. Un breve assaggio: Santiago del Cile; Shanghai in Cina, Bucarest in Romania, Almaty in Kazakistan, Casablanca in Marocco. Totale: 18. L’Emilia Romagna copre i Balcani, da Belgrado a Tirana e va verso oriente, a Sofia. Il Lazio va solo in Romania, la Valle d’Aosta a Parigi. Il Veneto di Zaia s’è spinto in India, Cina e Vietnam e, per essere moderni, a Dubai (Emirati Arabi). Tutti difendono le aziende: a che servono l’Ice (che volevano abolire), la Simest e la Farnesina? Un mese fa, in pieno campionato di calcio, un assessore calabrese è andato in Brasile, a San Paolo, a lanciare il “desk calabrese”. Come dar torto al consigliere che voleva un ufficio di rappresentanza del governo di Potenza a Potenza.