Nordio ha tolto il velo sul suo progetto di riforma della Giustizia. A suo avviso andranno limitate le intercettazioni perché se ne fanno troppe, costano molto e “non concludono nulla”. Federico Cafiero De Raho, deputato M5S ed ex Procuratore nazionale antimafia, come giudica queste parole?
“L’esperienza giudiziaria insegna che gli unici strumenti efficaci per contrastare le mafie sono i collaboratori di giustizia e le intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Ridurre l’impiego di questi strumenti significa abbassare l’attezione sulle mafie e non considerarle un nemico da annientare. La legge di bilancio in discussione conferma questa valutazione, perché inserisce tra le spese, di cui è prevista la riduzione, quella sulle intercettazioni. Eppure nelle dichiarazioni programmatiche della Presidente del Consiglio si era parlato della volonta di combattere le mafie e l’evasione fiscale. In realtà sembra che questi non siano obiettivi del governo, che aumenta il limite del contante e interviene sull’uso della moneta elettronica, in controdenza alla finalità di combattere l’evasione; ed inoltre prevede la possibilità di dichiarare e quindi regolarizzare le disponibilità in criptovalute, che costituiscono il mezzo di pagamento privilegiato dai trafficanti, senza preoccuparsi di operare alcuna verifica sulla provenienza”.
Il ministro ha avuto da ridire anche sul tema dell’obbligatorietà dell’azione penale.
“L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è prevista dall’art. 112 della costituzione ed è un baluardo per arginare il dilagare delle illegalità, senza consentire al pubblico ministero alcuna selezione o scelta; è un principio costituzionale che attua l’eguaglianza di tutti davanti alla legge, escludendo trattamenti differenziati. E’ una garanzia di legalità, di corretteza, di imparzialità. Il pubblico ministero deve procedere su tutte le notizie di reato. L’obbligatorietà esclude orientamenti o condizionamenti esterni. Di fronte all’obbligo non vi è facoltà di scelta: la giustizia deve compiere il proprio percorso sempre, nei confronti di tutti. Tutte le notizie di rato devono essere sviluppate e portate alla valutazione del giudice con una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. La discrezionalità dell’azione penale, che il Ministro della Giustizia vuole introdurre, quella sì che diventa arbitrarietà, perché di fronte ad un reato si sceglie se procedere o meno. La giustizia è sovrastata da un carico ingestibile con i magistrati in servizio. Il Ministro della Giustizia ritiene che, in luogo di un aumento dell’organico per affrontare la criminalità diffusa, sia preferibile rendere facoltativa l’azione penale. Si comprende che tale strada conduce all’assoggettamento del pubblico ministero al potere politico, che rivendicherà il potere di decidere su quali reati bisognerà concentrare l’azione penale. La discrezionalità dell’azione penale nella fase delle indagini e l’improcedibilità nella fase dibattimentale costituiscono meccanismi che non contrastano le illegalità e generano un condono generalizzato, con grave danno per la Giustizia, per i cittadini e per la nostra democrazia”.
Nordio vuole la “separazione delle carriere tra pm e giudici” in quanto “svolgono due mestieri diversi”. È davvero così?
“La nostra Costituzione prevede che pubblici ministeri e giudici siano componenti dello stesso ordine giudiziario e che ai magistrati sia riconosciuta la medesima indipendenza, garantita dal Consiglio superiore della magistratura che li valuta e li promuove. Si tratta di un sistema volto a tutelare i cittadini sottraendo i magistrati dal condizionamento della politica e scongiurando il rischio di un assoggettamento dei primi ai secondi. Pensare che i pm vengano separati dai giudici, ponendoli in un ordine distinto, significa indebolirli e predisporli al controllo del potere politico. Ma c’è anche un’altra ragione fondamentale, mai sottolineata abbastanza, per la quale pm e giudici non devono essere separati. Nel disegno Costituzionale viene stabilito che durante le indagini il pm deve comportarsi come un giudice, ossia deve avere la stessa capacità di garantire la piena e corretta applicazione della legge. Pensi che proprio per questo motivo al pm viene riconosciuta, nell’ambito delle indagini, la direzione della polizia giudiziaria così che questa non possa prendere ordini da altri ed essere impermeabile a qualsiasi condizionamento. Per riuscirci è evidente che pm e giudici devono avere la stessa formazione così da avere la medesima sensibilità, la stessa etica e anche il medesimo concetto di imparzialità. Andare in senso contrario significa introdurre delle storture ingiustificate e ingiustificabili. Naturalmente qualunque eccesso o strumentalizzazione dei pm va rilevato e sanzionato”.
Martedì è passato l’ordine del giorno di Azione che impegna il Governo a monitorare le conferenze e i comunicati stampa delle Procure. Di cosa si tratta?
“Il governo ha fatto propria questa iniziativa che, a mio avviso, è molto grave. Questo perché il monitoraggio non è solo su conferenze e comunicati stampa ma anche sui provvedimenti autorizzativi del Procuratore della Repubblica. Vale a dire che il monitoraggio è finalizzato a verificare la correttezza della motivazione che c’è dietro al singolo provvedimento emesso dal magistrato. Cosa ancor più grave il monitoraggio non viene fatto sulla base di una segnalazione ma come meccanismo automatico di controllo sui provvedimenti del pm. Ribadisco è un fatto grave anche perché se ne occupa l’Ispettorato generale del ministero della Giustizia che è l’ufficio di stretta collaborazione del Ministro della Giustizia con finalità disciplinare. In sostanza si ha un controllo pieno del potere politico sull’attività del pubblico ministero, formalizzata in un atto motivato”.
Ma in definitiva cosa pensa del programma del ministro?
“Vorrei sapere qual è il programma del ministro su mafia, evasione fiscale e corruzione. Noi abbiamo sentito soltanto dell’abolizione o della rimodulazione dell’abuso d’ufficio e del traffico illecito di influenze. Proprio su quest’ultimo ci tengo che si sappia che è stato inserito con la legge Severino, perché sollecitato dalla Convenzione sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 1999, che lo indicava all’articolo 12 come uno dei reati che tutti i Paesi Unione europea avrebbero dovuto inserire nel proprio ordinamento: il reato di traffico di influenze”.