Il 18 luglio 1992 ad uccidere a Palermo, con un’autobomba in via Mariano D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorsa fu Cosa Nostra, ma su quella strage a distanza di quasi 30 anni, persistono ancora molte “zone d’ombra”. A scriverlo è la quinta sezione penale della Corte di Cassazione motivando la sentenza del 5 ottobre scorso del processo ‘Borsellino quater’.
I supremi giudici ribadiscono la “paternità mafiosa dell’attentato” confermando, dunque, le conclusioni a cui erano giunti i giudici d’Appello di Caltanissetta, sottolineando “la correttezza dell’impostazione seguita dai giudici di merito”.
Lo scorso 5 ottobre, con la quale la Cassazione ha confermato in via definitiva l’ergastolo per i boss Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, e le condanne dei falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci (10 anni) e Francesco Andriotta (9 anni e 8 mesi) per calunnia.
“I giudici di merito – scrive la Corte – non mancano di confrontarsi con le persistenti ‘zone d’ombra’ sulla vicenda della strage di via D’Amelio, rimarcando comunque la patenita’ mafiosa dell’attentato. A proposito di tali ‘zone d’ombra’, la sentenza impugnata richiama la ‘sparizione’ dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, le dichiarazioni di testi intervenuti nell’immediatezza della deflagrazione, dichiarazioni rivelatrici di contraddizioni che gli accertamenti svolti non hanno consentito di superare”
Ma non solo, nella sentenza si parla anche dell’anomalia “del coinvolgimento del Sisde nelle indagini” e i “condizionamenti esterni e interni” sull’inchiesta. Nella “sintesi ricostruttiva offerta dalla sentenza impugnata”, osservano ancora i giudici della Cassazione citando la Corte d’appello nissena, “la strage di via d’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa Nostra, in quanto stretta da paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il ‘maxiprocesso'”.
I “dati probatori relativi alle richiamate ‘zone d’ombra’”, ricorda la Suprema Corte ripercorrendo le sentenze di merito, “possono al più condurre a ipotizzare la presenza di altri soggetti o di gruppi di potere (co-)interessati all”eliminazione’ di Paolo Borsellino”, ma ciò “non esclude il riconoscimento – si legge nella sentenza odierna – della ‘paternità mafiosa’ dell’attentato di via D’Amelio e della sua riconducibilità alla ‘strategia stragista’ deliberata da Cosa Nostra, prima di tutto, come ‘risposta’ all’esito del maxiprocesso”.