Corte dei Conti: disperso il 40% dell’acqua nella rete idrica. Ma i fondi per tappare la falla non bastano

La Corte dei Conti certifica il disastro: il 40% dell’acqua si perde nelle reti, mentre i fondi del PNRR tardano a dare risultati concreti

Corte dei Conti: disperso il 40% dell’acqua nella rete idrica. Ma i fondi per tappare la falla non bastano

Il 40% dell’acqua immessa nella rete idrica italiana non arriva ai rubinetti. Evaporata nei meandri di un’infrastruttura vecchia, rattoppata male, dimenticata quando si parla di investimenti strategici. Il dato lo conferma la Corte dei Conti: su oltre 9 miliardi di metri cubi d’acqua prelevata ogni anno, più di 3,4 miliardi si disperdono lungo il tragitto. Un sistema che fa acqua da tutte le parti, letteralmente.

Un sistema inefficiente tra sprechi e carenze di investimenti

La fotografia della magistratura contabile non è nuova, ma ogni volta il bollettino peggiora. Il rapporto più recente certifica una rete che continua a sgretolarsi, mentre i fondi per la manutenzione sono insufficienti. Il fabbisogno stimato si aggira intorno ai 6 miliardi di euro l’anno, ma le entrate si fermano a 4. Per tappare i buchi si attinge al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che destina 900 milioni alla riduzione delle perdite e alla digitalizzazione della rete. Peccato che gli interventi restino ancora frammentari e inadeguati alla portata del problema.

La situazione non è migliorata negli anni, anzi. L’Istat segnala che nel 2022 le perdite hanno raggiunto il 42,4%, un incremento rispetto al 42,2% del 2020. Un fallimento che si scontra con le necessità di un Paese che affronta sempre più periodi di siccità e deve fare i conti con una risorsa vitale sempre più scarsa. Il Sud è il più colpito: infrastrutture obsolete, gestione inefficiente e piani di intervento che si perdono nei labirinti della burocrazia. Il paradosso è che si continua a parlare di transizione ecologica, mentre una delle prime forme di sostenibilità – non sprecare ciò che abbiamo – rimane un’utopia.

A incidere su questa inefficienza c’è anche il costo dell’energia, che rappresenta un terzo delle spese correnti della rete idrica. Il sistema assorbe il 2,5% del consumo elettrico nazionale, una quota enorme che grava ulteriormente su bilanci già precari. Secondo i giudici contabili, la spesa media pro capite per la manutenzione della rete è cresciuta negli ultimi dieci anni da 33 a 70 euro, un aumento che tuttavia non è bastato a colmare il divario con gli altri Paesi europei. L’Italia continua a essere tra le ultime nazioni per efficienza idrica.

Il Pnrr tra promesse e ritardi burocratici

Nonostante il Pnrr preveda 45.000 km di nuove reti per ridurre le perdite e digitalizzare il monitoraggio, gli effetti di questi investimenti saranno visibili solo nel lungo periodo. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato un bando nel 2022 per selezionare i progetti finanziabili, con una priorità del 40% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno. Le graduatorie sono state approvate e alcuni enti locali hanno già avviato gli interventi, ma la lentezza burocratica e la difficoltà di coordinamento tra le istituzioni rischiano di comprometterne l’efficacia.

Ad esempio, Acqua Pubblica Sabina ha già realizzato il 68% delle installazioni previste di contatori smart meter nel primo stralcio del progetto, ma la dispersione idrica a livello nazionale rimane critica. I dati dimostrano che gli investimenti attuali non sono sufficienti a invertire la tendenza.

Il nodo irrisolto è la governance: l’acqua in Italia è gestita da una moltitudine di enti locali, con competenze che si sovrappongono e frammentano gli interventi. I comuni spesso non hanno risorse per intervenire in modo strutturale e i gestori privati, laddove presenti, non sempre investono nella manutenzione con la necessaria continuità. Le regioni presentano divari enormi: nel Lazio e in Sardegna la dispersione idrica supera il 50%, mentre in TrentinoAlto Adige si attesta sotto il 20%.

Eppure le soluzioni esistono. La digitalizzazione delle reti, il monitoraggio costante delle perdite, la sostituzione delle condutture più vecchie. Interventi che dovrebbero essere prioritari ma che restano relegati in fondo all’agenda politica. Nel frattempo, mentre si cerca disperatamente di far fronte all’emergenza climatica, l’Italia lascia andare in fumo un bene essenziale.