Nel quasi totale silenzio dei media mainstream, l’Italia si sta armando come non aveva mai fatto prima. Non è una metafora, né un’esagerazione: è la fredda realtà che emerge dall’analisi della Legge di Bilancio condotta dall’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane.
Per la prima volta nella storia della Repubblica il budget militare supera i 30 miliardi di euro, attestandosi a 32 miliardi per il 2025. Di questi, ben 13 miliardi saranno destinati all’acquisto di nuovi armamenti, segnando un’escalation che supera in percentuale di crescita qualsiasi altra voce di spesa pubblica.
Un riarmo da record: 32 miliardi, ma a quale costo?
Mentre il dibattito pubblico si concentra su decimali di deficit e su piccoli aggiustamenti della manovra, sta passando inosservato quello che può essere definito il più massiccio riarmo della storia repubblicana. I numeri elaborati da Francesco Vignarca ed Enrico Piovesana parlano chiaro: in soli dieci anni, la spesa militare italiana è aumentata del 60%, passando dai 19,9 miliardi del 2016 ai 32 miliardi previsti per il prossimo anno.
Ma è nell’ultimo quinquennio che la corsa agli armamenti ha accelerato vertiginosamente. Solo per dare un’idea dell’entità del fenomeno: nel 2021 si spendevano 7,3 miliardi in nuovi armamenti, mentre nel 2025 se ne spenderanno quasi 13, con un aumento del 77% in soli cinque anni. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla direzione intrapresa dal Paese.
Il ministro Crosetto, dal suo ufficio di via XX Settembre, gestirà un “bilancio proprio” della Difesa di oltre 31,2 miliardi di euro, con un incremento netto di 2,1 miliardi rispetto al 2024. Un aumento senza precedenti nella storia recente, che si inserisce in un trend di crescita costante e imponente.
Ma i numeri, per quanto eloquenti, rischiano di non restituire appieno la portata di questo cambiamento. Si tratta di risorse che, confrontate con altre voci di spesa, assumono proporzioni imponenti: spendiamo più in armamenti che in edilizia scolastica, più in missioni militari che in ricerca universitaria.
La spesa militare italiana arriverà così all’1,42% del PIL (o all’1,46% includendo i costi indiretti), avvicinandosi sempre più a quel 2% richiesto dalla Nato. Vale la pena ricordare che questo obiettivo non è vincolante, ma sembra essere diventato una sorta di mantra per i governi degli ultimi anni.
Aggiungendo poi ulteriori due voci di costi indiretti per basi militari e alle quote di compartecipazione per spese di natura militare in ambito Ue si potrebbe aumentare il totale complessivo di un ulteriore miliardo, superando quindi i 33 miliardi di euro.
Le priorità di un Paese in armi: difesa vs. spesa sociale
Non deve sfuggire un dettaglio significativo: mentre il bilancio della Difesa cresce a ritmi vertiginosi altre voci di spesa rimangono ferme o subiscono tagli. È una questione di scelte e priorità, e le priorità di questo governo sembrano chiare: più armi, meno spesa sociale, per dirla con una metafora classica.
Il paradosso è che questa corsa al riarmo si verifica in un momento in cui il Paese avrebbe bisogno di investimenti massicci in sanità, istruzione e transizione ecologica. Settori che, a differenza della Difesa, stentano a vedere incrementi significativi nei rispettivi budget.
L’analisi di Milex ci restituisce il ritratto di un Paese che sta silenziosamente cambiando volto, privilegiando la dimensione militare rispetto a quella civile, la spesa per gli armamenti a scapito dei servizi per i cittadini.
Una trasformazione che meriterebbe un dibattito pubblico approfondito, una discussione parlamentare seria, un confronto con i cittadini sulle reali priorità del Paese. Invece, tutto avviene nel silenzio quasi complice dei media e della politica, come se l’aumento esponenziale delle spese militari fosse un destino ineluttabile e non una precisa scelta politica.